Riverniciare l’aria a colpi di shoegaze regale e di un mood lo-fi decisamente evocativo. Navigare a vele spiegate nel lago dorato del regno delle sette note. Riconfermarsi a grandi livelli, ma in punta di piedi. Parannoul, in pratica, potrebbe aver sfornato uno dei dischi più interessanti dell’anno.
Sì. Perché le pennellate sonore del giovane artista coreano dimostrano una certa sapienza musicale e una vision davvero fuori dal comune. “Sky Hundred”, il suo nuovo – autoprodotto – capitolo discografico (nonché quarto album in studio) si muove su delle coordinate compositive che ben rappresentano quello che è il talento atavico di un artista che tira sempre dritto per la propria strada, senza lasciare prigionieri.
Brani come “Painless”, o lo stessa “Gold River”, riescono a mettere in evidenza tutto l’acume creativo del Nostro, trascinando l’ascoltatore in epiche code strumentali che sfociano, talvolta, in una sorta di emo-folk sperimentale e dinamitardo. “Evoke Me”, invece, nei suoi quattordici minuti (e più) di durata, è un inno incendiario e fragoroso, uno dei momenti topici dell’album in questione. E poi i testi. Sognanti, crudi, taglienti. Maledettamente esplicativi. Basti pensare a versi quali “Nel meraviglioso mondo che ho sognato, non c’è una storia su di me” (“Fantasy”).
Insomma, tanta sostanza per un disco che scorre via con estrema piacevolezza. Altroché. Smarrirsi fra i tessuti sonori di pezzoni come “Backwards”, infatti, significa immergersi appieno nel poetico mondo di Parannoul, cogliendone ogni sfumatura. E poco importa se l’autore di quel piccolo gioiellino che risponde al nome di “To See The Next Part Of The Dream” risulti ancora sconosciuto ai più. Dopotutto, la bellezza della musica risiede proprio nell’eterna scoperta dell’ignoto.
In definitiva, dunque, “Sky Hundred” ricolloca il buon Parannoul esattamente dove lo avevamo lasciato in precedenza. Ovvero, fra le pieghe sfavillanti di una proposta artistica oltremodo intrigante.