Ormai gli Snow Patrol ci hanno abituato ad attese così lunghe tra un album e l’altro tuttavia, in questa circostanza – a differenza di quanto accaduto invece con il precedente “Wildness” dove la lunga attesa era stata determinata da una serie di problemi personali che avevano afflitto il frontman Gary Lightbody – non sembra essere una questione creativa della band scozzese/nordirlandese.
In effetti, nel caso “The Forest Is The Path”, anche qui in maniera differente rispetto al precedente disco, la band ha saputo reinterpretarsi dirigendosi verso un mood fresco e rinvigorito. L’uscita dei singoli dal piglio decisamente poppy “The Beginning”, scritto dalla band durante un viaggio nel Somerset, “This Is The Sound Of Your Voice” e l’ultimo “All”, in testa alla tracklist e dotato del classico ritornello da arena, hanno segnato un graditissimo ritorno di una band che nel corso della loro trentennale carriera ha avuto il merito di collezionare meritati successi, seppur a volte caratterizzati da un rollercoaster nello showbiz che conta.
Nelle nuove dodici tracce emerge plasticamente la voglia del trio capitanato da Gary Lightbody, insieme a Nathan Connolly e Johnny McDaid, di guardarsi dentro di sé in un clima di autoriflessione e introspezione per rimarginare pregresse ferite attraverso musica e parole dense d’amore.
Non ho avuto una relazione per molto tempo, 10 anni o più, quindi l’amore a distanza per me significava il modo in cui una relazione si trova nella tua memoria da una distanza di, diciamo, 10 anni. Non è qualcosa a cui avevo pensato in precedenza per scrivere sull’amore. Quindi è come se, quando sei innamorato, ti trovi nell’atrio dell’Empire State Building. Quando hai rotto con quella persona, sei per strada. Puoi ancora vedere l’edificio, ma non ci sei più. E quando sono passati 10 anni, ora sei in piedi a Brooklyn a guardare lo skyline di Manhattan.
Prodotto da Fraser T Smith (Adele, Sam Smith, Craig David, The Kooks, Rita Ora, Nelly Furtado, Britney Spears, tra i tanti), “The Forest Is The Path” vanta anche l’illustre collaborazione di Will Reynolds, Roy Kerr e Troy Van Leeuwen dei Queens of the Stone Age i quali hanno contribuito alla scrittura di alcuni brani dell’album che si suddivide in due parti.
La prima, più energica, nella quale si distinguono alcuni episodi catchy dai refrain accattivanti come i già citati singoli nonché “Hold Me In The Fire”, potente e avvolgente, e la successiva “Years That Fall”, dal mood eighties, fino ad arrivare alle note malinconiche e cupe di “Never Really Tire”, che apre alla seconda parte del full-lenght caratterizzato invece da ballate intime e accorate, inaugurate da “These Lies”, che riportano alla memoria le hit “Chasing Cars” e “You Could Be Happy” contenute in quel magnifico “Eyes Open” del 2006.
Davvero bello e appagante quindi farsi trasportare dalle note acustiche delle bellissime “Talking About Hope” o “What If Nothing Breaks?”, mentre un climax quasi orchestrale della titletrack conclusiva mette la parola fine, almeno per il momento, al ritorno sincero e piacevole della band di base a Glasgow.