Credit: Luca Zampini

I livornesi Synaesthesia hanno realizzato con “Jeremy” (molto ben accolto su queste pagine) uno degli esordi più interessanti e brillanti dell’anno.
Musica solida, ispirata, intensa, il tutto che assume un significato ancora più rilevante se pensiamo che si tratta di quattro giovanissimi (tre di loro hanno dato gli esami di maturità a luglio).
Alla luce di tante simili premesse era tanta la voglia di conoscerli meglio, mi hanno così raggiunto telefonicamente i fondatori del gruppo Jacopo Fusario (cantante, chitarrista e autore di quasi tutti i brani del disco) e Andrea Bellini (batteria)

Buongiorno ragazzi, è un piacere per me parlare con voi. Vi seguo dagli inizi, da quando la vostra canzone “Perdonami” fu inserita nel progetto “Parole liberate vol.2″. Da lì a poco è arrivato poi il vostro primo album vero e proprio, intitolato “Jeremy”, e allora la prima domanda che mi viene spontanea è: dall’alto della vostra giovane età, come state vivendo questo esordio discografico in un’epoca di streaming e musica fluida? Cosa si prova ancora al giorno d’oggi ad avere tra le mani un proprio cd fisico, come oggetto?
Jacopo
: la pubblicazione dell’album con l’etichetta “Baracca & Burattini” è stato il primo grande obiettivo raggiunto, da tanto tempo ho scelto questa strada, quella della musica per il mio futuro, è lì dove punterò di più nella vita.
Certamente è stato forte ed emozionante come inizio, un’ottima soddisfazione, ma io di natura sono ambizioso, penso sempre avanti e non mi soffermo mai tanto sulle cose raggiunte perché ho grandi desideri e spero di poterne realizzare il più possibile; dal punto di vista materiale sono pure molto contento, perché al cd con una bella copertina, il nome della nostra band, i testi e i crediti riportati nel libretto, noi tenevamo molto, anche perché nonostante sia giovane sono legato più alla musica del passato che a quella odierna, che a dire il vero non mi rappresenta. Questo disco è un primo step da cui continuare ad andare avanti.
Andrea
: il fatto di avere il cd in mano è un’altra cosa rispetto a mettere la musica su Spotify ed essere parte di tutti gli artisti che ormai sono obbligati, dal momento storico che viviamo, a mettere la propria musica online sui social, però noi come gruppo ci sentiamo più “materiali”: ci piace vivere questa esperienza a contatto il più possibile col pubblico, fare i concerti, avere i dischi da vendere, percepire dal palco l’emozione. Ci fa piacere avere un riscontro ravvicinato, immediato, con chi apprezza la nostra musica.

Chi vi conosceva dagli inizi e che magari vi seguiva sin dai primi concerti e spingeva per avere il vostro cd, vi ha riconosciuto con questo disco?
Andrea
: direi di sì, posso parlare ad esempio delle amicizie a scuola, noi ci siamo formati due anni fa, dopo pochi mesi avevamo registrato i primi singoli e già arrivavano dei riscontri positivi. Le persone che ci seguono da allora sono rimaste soddisfatte, anche perché il cd cattura esattamente questa nostra prima fase.

Le emozioni che una canzone suscita sono sempre soggettive, e avendovi conosciuto con “Perdonami”, che fa parte di un album particolare in cui si dava voce ai detenuti, queste mi sono giunte copiose. Immagino sia stata una bella sfida per voi, come è stato lavorare alla canzone?
Jacopo: è stato difficile ma anche stimolante. Non avevamo informazioni su questa persona, essendoci all’interno del carcere della norme rigide da rispettare.
Ho cercato di mettere la mia anima in parole che provenivano da una penna diversa. In primis ho voluto lasciare mia impronta, mettendoci la voce del dolore che posso conoscere io rispetto a quella di un detenuto, ed è stato al contempo molto bello dare una forma di libertà, metaforicamente parlando, a un carcerato intrappolato tra quattro mura.

Posso dire che questo ti è riuscito molto bene e mi pare un ingresso nel mondo discografico assolutamente rilevante; il fatto poi che eravate insieme a dei grossi nomi non è cosa che capita tutti i giorni a un gruppo esordiente. Cosa vi portate dentro di questa esperienza?
Andrea
: è stata una bella occasione per fare esperienza a fianco di grandi artisti, abbiamo conosciuto anche gruppi meno noti (come ad esempio quelli che sono con la nostra etichetta) e avuto il piacere di suonare insieme alla Bandabardò, Giorgio Canali, Pat Mastellotto. Come primo ingresso nel mondo della musica, farlo attraverso un’iniziativa sociale del genere è stato davvero gratificante.
Jacopo: ci ha dato oltretutto l’opportunità di suonare in giro, aprendo concerti di questi nomi importanti della scena italiana. Sono tutte esperienze piuttosto ganze come si dice qui in Toscana! Poi il disco è arrivato in finale alle Targhe Tenco e siamo orgogliosi di aver contribuito a questo risultato.

Terminando l’argomento sulle canzoni non vostre al cento per cento diciamo, come vi siete approcciati a un artista di culto come Piero Ciampi e com’è nata la scelta proprio di questo pezzo (“Sobborghi”)?
Ammetto che accostandovi a un mostro sacro come lui mi avete sorpreso positivamente, non pensavo in tutta onestà che potesse attecchire su un gruppo così giovane. Lo sentite in linea con il vostro mondo per le emozioni che suscita (al di là dell’appartenenza geografica, visto che come lui siete di Livorno)?
Jacopo: è stata una mia proposta ai compagni quella di interpretare a modo nostro Piero Ciampi, sento che la mia anima è in sintonia con quella di Piero, che è una delle mie fonti di ispirazione maggiori, non per la sua fine tragica ma per quello che ha saputo raccontare ed esprimere con musica, voce e liriche. Poi sì, siamo suoi concittadini e questo ha contribuito a sentirne una determinata vicinanza ma la mia non voleva essere una sviolinata a Livorno, anzi, a volte siamo anche dissacranti con la nostra città, e allo stesso tempo ne siamo innamorati… ammetto di essere controverso!
È che amo la penna di Ciampi, lo reputo il più grande cantautore italiano (non perché sono di parte) e negli anni mi ha accompagnato in varie situazioni; faccio riferimento a momenti più di buio rispetto a quelli luminosi, ma in ogni caso ha significato tanto per me e reinterpretarlo mettendoci la mia anima ha chiuso un cerchio. La canzone è stata scelta perché l’ascoltavo spesso in macchina e mi è venuta in mente subito di rivisitarla in versione grunge, hard rock, alla nostra maniera insomma.
Andrea: ne è uscito un Ciampi diverso musicalmente, però conoscendo meglio la sua poetica direi che è affine al nostro modo di vedere le cose. Abbiamo appoggiato subito la proposta di Jacopo di omaggiarlo, la versione l’abbiamo lavorata assieme e il risultato finale mi soddisfa appieno. Direi che in sala prove, mentre si iniziava a tirar su la struttura a modo nostro, ci siamo trovati in fretta a decidere di farla in stile grunge, una parte della strofa più lenta, pulita e tranquilla, e poi il ritornello forte e distorto tipico degli anni novanta. In studio è filato davvero tutto liscio.
Jacopo: è venuta molto naturale, ce la siamo sentita nostra e alla fine è molto omogenea all’interno del disco.

Avete tirato più volte in ballo questo termine, grunge, che appare quasi desueto e che già al tempo per alcuni era visto come un’etichetta anche fastidiosa, tanto che diversi esponenti del genere ricacciavano proprio questo termine.
Io nel ‘94 avevo 17 anni e posso ben dire di aver vissuto in presa diretta e appieno quell’epoca ma voi a distanza di 30 anni e più come vi siete innamorati di questa musica che sembra non tirare così tanto e che invece siete riusciti a cogliere nei suoi elementi di intensità, profondità e disperazione?
Andrea
: io trovo difficile rispondere, mi è venuto naturale in questi anni di piacermi questo genere, non saprei nemmeno spiegare… l’ho sentito le prime volte, ho scoperto le canzoni, i gruppi e mi è entrato nel cuore!

Credo che voi traduciate bene i sentimenti e i messaggi dei protagonisti che hanno fatto la storia di questo movimento; non dico che non ci siano più gruppi che vi si ispirano ma magari non lo ostentano, voi invece non avete remore a definirne la vostra discendenza diretta, tanto che anch’io vi etichetterei come grunge, seppur attualizzato ai giorni nostri.
Jacopo
: mah, guarda, io personalmente credo di essere approdato al grunge per disperazione ecco, è quell’incontro che si fa nei momenti in cui si è alla ricerca di se stessi.
Avevo 16 anni, quindi è una passione più fresca se vogliamo (visto che ne ho 19 adesso) rispetto ad altra musica che ascoltavo, ed io appunto ero in quella fase in cui cercavo qualcosa che sentissi veramente mio. Ciò che ascoltavo non mi rappresentava più, almeno non fino in fondo, parlo del rock in tutte le sue forma; dei classici tipo i Pink Floyd o i Led Zeppelin ne apprezzavo l’efficacia musicale, invece nel grunge ho trovato più a fondo le radici del mio essere. Lo sentivo più affine non solo dal punto di vista prettamente musicale, dei suoni, ma anche proprio come un ideale, quei testi li ho sentiti più vicini rispetto a tante altre cose, è stato un fulmine improvviso che però mi ha segnato profondamente.
Ti dirò, la musica del passato la sento sempre più attuale per come descrive e rappresenta il mondo, anche se si parla di trent’anni fa.
Andrea
: eravamo entrati dentro questo genere a tutti gli effetti, per tutti i suoi significati. Banalmente magari sono partito dai Nirvana, ma poi ho ampliato la conoscenza, volendo andare a scoprire tutti gli altri nomi di quel periodo.

Più volte, o meglio, sempre, nei comunicati stampa o negli articoli che vi riguardano, si sottolinea che tu (Jacopo) e Giulio Bardi, il chitarrista (completa la formazione il bassista Davide Tortora) siate figli d’arte.
Credo che il vostro background musicale sia frutto anche di un solido retaggio familiare e che possa aver inciso nella scelta di diventare musicisti ma che prima o poi vi affrancherete dai Virginiana Miller (che tra i fondatori vedevano Andrea Fusario e Antonio Bardi).
Per questo disco è inevitabile il paragone ma basta ascoltarvi per capire che siete due entità molto differenti. Come vivete questo parallelismo che si viene a creare e in generale il fatto di avere due padri così attivi a livello discografico con un nome storico dell’indie italiano?
Jacopo
: rispondo ovviamente per me, Giulio probabilmente ha un rapporto più particolare con la sua discendenza, nel mio caso vivo questa cosa in maniera molto più serena: la musica nella mia famiglia, nella mia vita è presente si può dire sin dagli albori. È stato babbo che mi ha avviato, facendomi sentire i primi dischi, trasmettendomi la passione ma devo ammettere che non è mai stato opprimente, anzi, lui essendosi diviso presto dai Virginiana Miller, uscendone a inizi 2000 (ora milita negli interessanti PASE, ndr) ha un rapporto particolare col suo passato e non mi ha mai tanto prestato ad ascoltarli, al punto che posso dire di averli scoperti da solo, comprendendo nel tempo quello che significano, la loro importanza.
Forse non è così evidente ma sono un grande ascoltatore specialmente dei primi due dischi, dove c’era al basso mio padre Andrea, e sì, è inevitabile che venga fuori che siamo figli d’arte.
A me questa cosa fa sorridere in modo molto genuino, e poi è un’influenza musicale che, seppur meno evidente, ne sono orgoglioso e la riconosco, insieme a tante altre che vanno oltre il grunge.

Giulio è entrato dopo quando le canzoni in pratica erano già fatte, mentre voi siete i fondatori insieme a Marco Trentini, il precedente chitarrista: avete quindi già vissuto una piccola scissione, come è avvenuto questo avvicendamento in seno al gruppo?
Jacopo
: si stava avvicinando il momento fatidico della registrazione in studio, e Marco ci ha un po’ spiazzato sul momento, però ci piace piangere con la musica ma non piangerci addosso nelle situazioni problematiche; i problemi pratici ci piace risolverli, così abbiamo fatto un brainstorming per vedere che soluzioni trovare ed è arrivato Giulio.

Che conoscevate già, vero?
Jacopo
: sì, perché conoscevo già bene il suo babbo, e tra una chiacchiera e l’altra è venuto spontaneo chiedergli qualche informazione sul figlio. Il resto è venuto tutto naturale.

Non vi siete pianti addosso ma immagino che quando si è all’inizio e uno degli elementi importanti viene a mancare ci si trova subito davanti a una svolta importante. La storia del rock è piena di esempi simili, con componenti di gruppi che sul più bello lasciano e bisogna sempre reinventarsi. Voi siete stati bravi ad assorbire il colpo, vi sentite ancora con lui, vi segue nel vostro percorso?
Jacopo
: è stato spiazzante come detto trovarci di punto in bianco senza chitarrista, senza un amico che aveva condiviso i primi momenti insieme a noi. Ci ha avvisato mettendoci davanti la sua scelta, aveva altri programmi per il futuro, è un po’ più “scienziato” rispetto a noi e così ha anteposto lo studio alla musica, evidentemente la faccenda stava diventando troppo seria e non ci vedeva dentro un suo futuro, a differenza nostra (io sto portando avanti musica e studio, Andrea lavora, gli altri due studiano). È stato sincero e questo va detto, non abbiamo litigato, ma la sua scelta improvvisa ha comportato una rottura, una svolta come hai sottolineato.

Venendo ora alle canzoni di “Jeremy”, si percepisce all’ascolto una certa omogeneità di suono e temi, magari alcuni pezzi mi appaiono più derivativi (se mi concedete il termine), penso a “Drink”, altri invece li trovo più personali e a fuoco, in particolare “Ashes”. Qual è il pezzo che più vi rappresenta, quello che vi piace di più suonare e che consigliereste per primo di ascoltare a chi ancora non vi conosce e vuol farsi un’idea di chi siano i Synaesthesia?
Andrea
: per me è “Better Man”, che posta in apertura è molto di impatto e sinceramente la definirei la nostra canzone-manifesto, quella fondamentale e che può a ragione rappresentarci al meglio. Poi un brano come “The Unease Company” ha delle sfumature su sonorità diverse, differenti dal distorto tipico del grunge. È una canzone lunga, d’atmosfera, è il nostro esperimento alla Doors, mi piace molto suonarla!
Jacopo
: potrei trovare difficoltà nel risponderti, considerato che i brani li ho scritti tutti io, ma in realtà non faccio poi così fatica. Non perché ne reputo alcuni più di qualità rispetto ad altri ma perché io do’ lo stesso peso, se non di più, al testo che non alla musica. Ovvio, sono orgoglioso di tutti i pezzi pubblicati, eppure se devo scegliere uno a cui sono più legato sicuramente direi “A Lack for My Rotten Mind”, dove credo di esprimere al massimo la disperazione che è collegata un po’ a tutte le canzoni, ma in quel brano viene più fuori.
E poi c’è “Disappointed Freak”, che dal punto di vista lirico è una considerazione legata a una mia filosofia di vita, mentre dal punto di vista musicale mi soddisfa sia la melodia della voce sia la dinamica musicale: dato che sono stati citati i Doors, sappi che una delle mie dipendenze più grandi è Jim Morrison e in questa traccia mi piaceva iniziare con una poesia (oltretutto scritta con uno dei miei migliori amici), anche se infine si approda a un ritornello più cattivo. Infine dal punto di vista canoro mi emoziona ogni volta cantare “Ashes”.

In “Ashes”, con i suoi cambi di registri e la voce che prende il volo, ci ho riconosciuto Jeff Buckley; è solo una suggestione o rientra anche lui fra i vostri ascolti?
Jacopo
: come no? Jeff Buckley è uno dei miei cantanti preferiti, e se dici che in questo brano te lo ricordo, ne sono veramente onorato! Per quanto riguarda invece suonare le canzoni, beh, ce le godiamo tutte in realtà. Abbiamo i nostri momenti, le varie routine dal palco… a me ad esempio piace spesso liberarmi della chitarra, nonostante la ami suonare (la suono sempre tranne che in “Deception and Death”), perché così mi posso muovere di qua e di là!

Ci sono testuali riferimenti ai Pearl Jam, dalla canzone “Better Man” allo stesso titolo del disco: ecco, da dove deriva “Jeremy” che subito rimanda a un episodio cruciale della band di Eddie Vedder? Che nesso c’è col vostro album?
Jacopo
: io sono piuttosto logorroico e anche per il titolo ci sono tutta una serie di passaggi che mi hanno portato a “Jeremy”.
Da appassionato di arte (studio all’Università Storia dell’Arte) ero partito da lì, mi erano venute in mente due sculture di Donatello, Abacuc e Geremia, che sono le prime nella storia dell’arte –  parliamo di Rinascimento –  dove i soggetti non vengono rappresentati come muscolosi nel pieno delle forze e degli anni, ma con i segni della vecchiaia, del dolore degli anni passati; quindi già avevo trovato delle analogie con quello che è il mio modo di scrivere e di pensare, di vivere, però visto che facciamo musica inglese, che siamo dei grungers, ci piaceva rispettare questa prima etichetta che ci siamo affibbiati ed essere riconoscibili come Synaesthesia.
Per questo sono passato infine a “Jeremy” come omaggio ai Pearl Jam e a una delle canzoni più iconiche di tutto il grunge, non certo a caso ma per un riferimento preciso al testo visto che racconta un tragico fatto di cronaca.
Lo abbiamo scelto per il suo tema e per la storia che si porta dietro, d’altronde il dolore è uno dei fili conduttori della nostra musica, quindi mi è venuto naturale questo ragionamento, forse forzato e strano: passando prima dalla storia dell’arte, siamo giunti al significato profondo che volevamo dare al disco.

Venendo all’oggi e alla scena contemporanea, come vedete, da quasi loro coetanei, il successo dei Maneskin? Pensate che possano fare da traino per un nuovo movimento rock italiano, aiutando i gruppi giovani come voi che fanno rock o li considerati un fenomeno a se stante, un caso unico di dimensioni gigantesche ma effimero?
Jacopo
: ti rispondo sinceramente, perché noi siamo ancora giovani e sconosciuti ma io sono estremamente stronzo… da un certo punto di vista ne ho zero rispetto e credo che in realtà raffigurino una cultura dell’apparenza, della pochezza, della commercializzazione, e quanto sia frivola la tendenza generale di questa società; dall’altro punto di vista sarei felice se continuassero col loro successo per servirmene, per servircene soprattutto.
Ci piacerebbe presentarci come gli “anti-Maneskin”, può essere una mossa di marketing per noi ora che ci penso!
Davvero, non vedo sincerità in quello che fanno loro, invece posso firmare col sangue che nella nostra musica ce n’è veramente tanta, anche perché non vedo altre motivazioni nel fare arte se non quella di esprimere un grande fuoco interiore.

Avrete modo di suonare dal vivo questo disco, ci sono delle date da segnare sul calendario?
Andrea: sì, già quest’estate abbiamo fatto un buon numero di date, di recente il 26 settembre ci siamo esibiti in versione unplugged a “La Nunziatina” di Pisa e avremo modo di esibirci presto ancora in contesti che possono veramente valorizzare le nostre canzoni.
Jacopo: il concerto che aspettiamo con più foga è previsto per il 12 ottobre al “Cage” di Livorno. Avremo un palco tutto nostro e siamo contenti ed eccitati di suonare in un bel live club come quello, non vediamo l’ora.

Avete in repertorio altre canzoni, state già scrivendo roba nuova o siete concentrati a promuovere le canzoni di questo disco nuovo?
Andrea: come detto, ci piace tantissimo suonare questo disco, abbiamo voglia di farlo conoscere e di raggiungere più gente possibile, perciò ci concentreremo principalmente sui brani di “Jeremy” che dal vivo sono ancora più potenti.
Jacopo: non è per tirarmela ma io sono costantemente ispirato, non perché sia chissà chi ma questa cosa rende l’idea di quanto abbia l’esigenza di fare musica e arte in generale; quindi in realtà sì sto scrivendo cose nuove, ma credo che adesso, come ha detto Andrea, sia il momento di spingere sulla musica che abbiamo già pubblicato, promuovendo al massimo questo nostro primo disco su cui crediamo tantissimo.
Nel cassetto c’è tanto altro, anzi è tutto chiaro in testa dove vogliamo arrivare, tempo al tempo si dice in questi casi, anche se io farei un disco al mese se potessi, sento tanta urgenza creativa!

Un’ultima domanda: come detto in apertura, ci sono due episodi in italiano in questo disco, entrambi molto riusciti; è un possibile nuovo filone oppure sono state solo delle parentesi? Ci state pensando a cantare in italiano oppure a te Jacopo viene più naturale esprimerti in inglese (per il suono o per una tua predisposizione)?
Jacopo
: rispondendo in totale sincerità sono molto combattuto!
Credo che per i miei compagni in realtà non faccia molta differenza, invece dal mio punto di vista, da autore dei testi, ci sto riflettendo molto perché comprendo che in Italia l’italiano abbia un certo valore.
Io amo la nostra lingua e mi piace utilizzarla nella scrittura, ad esempio oltre ai testi scrivo tantissime poesie e per quelle uso prevalentemente l’italiano a differenza dei testi delle canzoni; dall’altra forse mi accompagna meglio l’elasticità vocale inglese e oltretutto io sogno un po’ l’Europa, l’America, saranno dei sogni megalomani per carità…
Non so, forse in parte porteremo avanti ancora un po’ di italiano o magari arriveremo a metà e metà, vedremo l’evolversi della situazione.

In ogni caso la storia ha insegnato che il suono rock può essere cantato anche in italiano ed è possibile farlo con certa originalità, semplicemente partendo da un particolare timbro vocale o dai contenuti, quello che dovete esprimere. Sei d’accordo?
Jacopo
: certo! E spero che risalti più per i contenuti, il fatto dell’inglese è proprio per una questione legata al sogno, al non volermi mettere dei limiti solo perché sono nato in Italia, che è un bellissimo Paese ma dal punto di vista musicale è un po’ pigro. È tutto più complicato per chi vuole fare musica rock, però siamo determinati e non ci fermeremo di certo alle prime difficoltà!