Meet me any place or anywhere or anytime
now I don’t care, meet me tonight!
If you will dare, I will dare.
Minneapolis che a metà degli anni ’80 dev’essere stato un posto pazzesco, con la neve d’inverno in cumuli fino alla cima dei parchimetri e il sole a scintillare sui vetri dello skyline in costruzione per un piccolo sogno yuppie – più giù, al brulicare tra le rive del Mississippi e la città gemella, un nuvolo di idee in ogni stagione, Prince figlio più nobile ed estroverso, patinato e infatti già a suo agio nei salotti buoni dello showbiz, tanti marmocchi che poi a lungo andare li si sarebbe detti ‘alternative‘ – gli Hüsker Dü che rigettati dalla locale Twin/Tone trovavano casa alla SST Records e man mano avevano imparato anche a rallentare, altri nomi che la storia (come ce la insegnano) ha messo in disparte e poi i Replacements, teppistelli che osavano esordire ben lontani dalla maggiore età e anche una volta raggiunta potevano essere la miglior band dell’universo o la peggiore, sullo stesso palco, nel giro degli stessi tre minuti appena, giura chi era lì.
Il loro terzo album ha un titolo pesante, “Let It Be” – e non sarà quel “Let It Be” ma sa il fatto suo almeno nel senso che raccoglie perfettamente la cifra dei suoi autori, immortalati in bianco e nero sul tetto di casa vestiti proprio come ci si immagina da qui la provincia americana di quel decennio (e come era in effetti).
Quando “Let It Be” traccheggia si fa fatica a trovargli un verso, ma non succede spesso (“Tommy Gets His Tonsils Out”, “Gary’s Got A Boner”, “Androgynous”); ogni tanto gli parte la stupidera, ma è quasi contagiosa (“Seen Your Video”, che va ubriaca a diverse velocità, “We’re Comin’ Out”).
Quando cerca di azzerare le distanze urlando dentro la segreteria telefonica (“Answering Machine”), quando trasforma maledettismo da cartoon in un lamento romantico (“Favorite Thing”) e quando Paul Westerberg si rivolgere al sé stesso coi calzoni corti (“Sixteen Blue”), allora spacca il cuore per quanto è vivido.
Quando è davvero brillante, allora lo è a tal punto da creare un canone pur chiedendoti guardami negli occhi, dici che sono soddisfatto? o sfidandoti: se osi, allora oserò anche io.
Rimane il dubbio se i Replacements, a conti fatti, abbiano combinato anche di meglio (il successivo “Tim”, poi “Pleased To Meet You”) – ma a questo la risposta è facile e antica: let it be.
Pubblicazione: 2 ottobre 1984
Durata: 33:31
Dischi: 1
Tracce: 11
Genere: Rock alternativo, Jangle pop
Etichetta: Twin/Tone Records
Produttore: Steve Fjelstad, Peter Jesperson, Paul Westerberg
Tracklist:
I Will Dare
Favorite Thing
We’re Coming Out
Tommy Gets His Tonsils Out
Androgynous
Black Diamond
Unsatisfied
Seen Your Video
Gary’s Got a Boner
Sixteen Blue
Answering Machine