Ne è passato di tempo da “A Certain Trigger“, esordio, possiamo dire, folgorante dei Maximo Park, in quell ondata di band anni zero, tra la wave e il post punk, che coinvolgeva, idealmente, collettivi, tra i tanti, quali gli Interpol, l’esordio clamoroso dei Bloc Party (poi persi qua e la artisticamente parlando), gli Art Brut, ovviamente i Franz Ferdinand, e anche gli Editors. Giusto per dare una collocazione e delle analogie di una scena coinvolgente, quella che ha passato, virtualmente, il testimone, una quindicina d’anni dopo, all’attuale con una rinfrescata di carte d’identità.
Questo succitato esordio era veramente bello, pieno zeppo di energy songs, che colonizzarono le playlist dei dancefloor di mezza Europa, perfette per quegli anni. Poi va detto una carriera in picchiata negli inferi della poca sostanza, dischi assolutamente lontani dal primo tassello (di fatto lo stesso iter della band di Kele, i Bloc Party appunto). Tra l’altro una discografia sempre puntuale e ricca, tutti lavori a volte sufficienti e a volte con voto da penna rossa, ma, sicuramente lontani, in fatto di ispirazione, da “A Certain Trigger”. Questo “Stream of Life” in analisi è l’ottavo disco sulla lunga distanza a tre anni dal precedente.
Anticipato da alcuni singoli come l’opening track “Your Own Worst Enemy”, un’ouverture rompighiaccio corposa e adatta, la stessa “Favourite Songs”, subito dopo, continua sulla falsa riga.
Premesso, non c’è nulla che non vada, produzione di livello, sui binari di un certo classicismo, basso, chitarre e batteria, con le sei corde sempre protagoniste e in trincea a tirare le fila e la voce dell’eclettico Paul Smith sempre sul pezzo, quello che manca, sono i ritornelli imperdibili, che nella loro carriera, sebbene per un lasso di tempo risicato, ci sono stati.
Quelli che ti fanno sobbalzare dalla sedia e dire, questi sono i Maximo Park della prima ora e invece anche questo disco non può andare oltre ad una rispettosa sufficienza, ma passerà subito nel girone dei presto dimenticati.
Andando oltre, l’altro singolo “The End Can Be As Good As The Start” veleggia meglio sulle onde, mentre l’altro brano rilasciato un mese fa in ottica antipasto, “Quiz Show Clue” lascia indifferenti all’ascolto. La title track, un mid tempo, quasi una ballad sui generis, regala buoni sussulti. Anche “No Such Thing As A Society” arriva vestita di pregevole scrittura.
Aspettative e curiosità rispettate e fugate, non ci sono sorprese, un ennesimo disco discreto, ripeto di buona fattura, ma prescindibile.