Gli Idles non hanno raggiunto il successo rapidamente. Hanno vissuto parecchi anni in una dimensione contenuta finché furono notati da Steve Lamacq che li lanciò proponendo la loro musica su BBC Radio 6.  Fu proprio in quel periodo che James Cox, cantante dei Crows, scrisse un messaggio a Joe Talbot per complimentarsi del loro meritato successo.

Talbot conosceva molto bene i Crows che a Londra avevano saputo crearsi una buona reputazione grazie a concerti carichi di energia e si propose per la pubblicazione del loro loro primo album “Silver Tongues” (2019).

Un debutto salutato con entusiasmo, addirittura NME li esalta paragonandoli, seppur “a tratti”, ai The Jesus & Mary Chain.
Il buon successo dell’album, il ruolo di gruppo spalla agli Idles e il tour americano con i Wolf Alice sembravano lanciare la band verso un brillante futuro. Purtroppo le imposizioni dovute al covid che avevano vietato le esibizioni live avevano tagliato le ali alla band di Londra che ha dovuto attendere il 2022 per tornare in campo con il tanto atteso sophomore “Beware Believers” che confermava il forte senso di ribellione che da sempre anima il messaggio della band.

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Band che è formata dagli amici di vecchia data James Cox e il chitarrista Steve Goddard – la loro amicizia risale al 2010 quando iniziarono a suonare nei locali della capitale con una band a cui diedero il nome di Jim Crow and the Murders – a cui si unirono Sam Lister alla batteria e Jith Amarasinghe al basso.

“Reason Enough” è prodotto da Andy Savours (Black Country, New Road e My Bloody Valentine) e arriva dopo un periodo in cui i membri della band hanno dovuto dividere il loro tempo tra lavoro e famiglia.

La cripta del  vecchio convento cattolico di Stroud è stato il primo passo verso la realizzazione del disco.

E’ proprio in questo luogo particolarmente affascinante che le canzoni prendono forma velocemente (alla fine saranno ben 17).

A chi si chiedesse di come ci siano finiti nella cripta di un vecchio convento di Stroud rispondiamo che da quelle parti proviene Jith il bassista, chiedete a lui.

I testi dei brani riflettono le esperienze personali di Cox e le sempre attuali problematiche del mondo politico e sociale inglese.
In “Bored” viene descritta la frustrazione provocata dal non poter vivere delle proprie passioni, costretti a lavori precari per pagare le bollette mentre il tuo sogno è esibirti su un palco.

Vivere la quotidianità immersi in continue notizie negative, cadere in depressione, l’esplorazione dei propri comportamenti e trovare la forza per cambiare sono i temi dell’altro singolo “Vision of me”.

“Is it Better” è invece una sorta di ringraziamento rivolto agli amici e familiari che grazie al sostegno dato hanno aiutato Cox a trovare la forza per riemergere e rinnovarsi seppur ancor ferito.

I dieci brani dell’album hanno avuto una lunga gestazione. Non incalzati dalla fretta di pubblicare un disco a breve distanza da ” Beware Believers”,  i quattro musicisti hanno avuto il tempo per elaborare e apportare miglioramenti ai brani registrati nella famosa cripta di Stroud. Grazie alla produzione di Savours i suoni risultano puliti e la voce di Cox, libera da effettistica, risulta più diretta e reale, anni luce distanti dall’esordio low-fi di qualche anno fa.

Rimangono le tematiche a sfondo politico e sociale che hanno da sempre contraddistinto i testi dei Crows che sperimentano la melodia in brani come i già citati “Is it Better ?” e “Vision Of Me”, non a caso singoli da efficace passaggio radiofonico.

È una lotta in un terreno fangoso, barcamenandosi tra insicurezze personali e un periodo storico in cui l’Inghilterra ha perso ogni riferimento, con la popolazione divisa su temi importanti come la Brexit, il costo della vita, le proteste contro l’immigrazione e la crescente presenza musulmana nel paese. Troviamo tutto ciò ben descritto in “Land Of The Rose” , “Bored” e “Every Day Of Every Year” i brani più crudi e pungenti del lotto.

Sanno rallentare i Crows e lo fanno piuttosto bene. La opener e title track “Reason Enough” ci trascina con un ritmo sornione ma penetrante che precede l’apoteosi finale.

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il lavoro di produzione di Andy Savours, che ricordiamolo, curò i suoni del terzo album “mbv” dei My Bloody Valentine, ha raffinato e ingentilito la naturale agressività della band. Brani come ” Silhouttes” con le sue vibrazioni psichedeliche ci ricorda i Kula Shaker mentre D- Gent” chiude l’album con una sofferta ballatona blues dai colori cupi e dai toni tormentati.

Se “Living On My Knees” fa l’occhiolino ai Franz Ferdinand “Lie to me” lo fa ai Joy Division ma per non essere irrispettosi i nostri ripiegano su un ritornello mieloso.

Album che potrebbe non soddisfare i fan degli albori ma i Crows con questo lavoro più “raffinato” potrebbero trovare quel successo che sicuramente meritano. Uscire dalla cripta per godersi la luce di una bella giornata di sole potrebbe non essere solo una indovinata metafora…