Spesso oscurato da altri paesi, ma non ho bisogno di citare quali autentici monumenti della musica abbia partorito, non va dimenticato come il Canada possa veicolare artisti meno conosciuti che meritano la nostra attenzione: ogi infatti parliamo di Leif Vollebekk, che arriva da Montreal.
A proposito di citazioni, aggrada sapere che l’artista stesso citi Nick Drake o Townes Van Zandt (oltre all’omnipresente Dylan) tra le sue influenze ed infatti è spesso definito come un indie folk singer e, forse più correttamente, un autore folk pop.
Ascoltando però il suo nuovo lavoro, si percepisce facilmente la volontà di arricchire gli arrangiamenti, usufruendo spesso della corposità di orchestrazioni ben congegnate.
Rimane centrale l’utilizzo del pianoforte ed una modalità compositiva che potrebbe ricordare un certo Marc Cohn o, nelle composizioni più pop, il più recente David Gray, senza dimenticare che potrebbe fare proseliti tra gli amanti, come il sottoscritto, di Ryan Adams (ovviamente attenzione al nome senza la “B” prima di “Ryan”).
L’album vince e convince nella componente più difficile di un lavoro da songwriter ovvero nella parte compositiva: non basta apprezzare infatti le pur presenti apprezzabili doti vocali del nostre e gli arrangiamenti ben calibrati, ma servono sopratutto le cosiddette “canzoni”, che non mancano in questo nuovo album.
Il tono per lo più nostalgico e malinconico dei brani è un perfetto viatico per l’autunno a venire.