La regola è molto semplice: ripetere il nome tre volte porta solo guai. Ripeterlo tre volte, in un sequel dopo quasi 40 anni, porta altrettanti guai? Stranamente, e per fortuna aggiungerei, in questo caso la risposta è un bellissimo NO.
É tornato Tim Burton. Nel vero senso della parola, sia chiaro. Dopo anni e anni di fiacca, “Beetlejuice Beetlejuice” si conferma essere il suo lavoro migliore in questo lungo periodo di magra artistica. Fare un sequel è sempre difficile, lo si vede con “Joker 2”, ma nel caso del ritorno dello spirito porcello possiamo assolutamente fare un sospiro di sollievo. É andata molto bene!
Con un cast burtoniano 2.0, la storia 30 anni dopo riprende le vicende di Lydia Deetz (Winona Ryder) alle prese con il successo e la fama di sensitiva dell’aldilà. Ha una figlia, avuta da un matrimonio burrascoso e finito con la morte del marito, con la quale non riesce a trovare un legame più profondo e sincero. Ancora in circolazione la matrigna, Delia Deetz (Catherine O’Hara), la famiglia dovrà riunirsi per il funerale del defunto padre di Lidia proprio nella casa che 30 anni prima aveva scombussolato le loro vite. Ovviamente, ma questo è sottinteso, proprio in quella casa si aggira uno spirito che cerca di tornare a galla dalle sembianze di Michael Keaton, ancora innamorato di Lydia e alle prese, anche lui, col successo nell’oltretomba.
Il film è quello che si può definire una classica commedia burtoniana di tutto rispetto. Non mancano i soliti personaggi creati da lui stesso che lo resero celebre; non mancano neanche le ambientazioni terrene ed ultraterrene da lui immaginate. E anche se Burton negli ultimi anni abbia abusato di CGI ed effetti speciali dai facili dubbi, questa volta lo ritroviamo più sobrio e molto più analogico. Ritorna lo stop motion e le sue figure ad esso connesse dai tratti teneri ma inquietanti, che non stonano assolutamente con tutto il resto del film. Il tono non è solo misterioso e sovrannaturale, ma anche dolce e divertente con qualche guizzo tagliente e geniale (soul train, per intenderci) che danno una marcia in più a tutta la pellicola.
Per farla molto semplice, Tim Burton è tornato agli albori della sua genialità incompresa e da outsider. Ci ha regalato un grande e degno sequel che non fa storcere il naso ma ci fa ben sperare nei prossimi progetti del regista americano.