Sabato sera piuttosto doloroso perché sulla nostra amata regione si sta abbattendo l’ennesimo nubifragio e anche Bologna, dove ci troviamo oggi, non fa eccezione e ne sta subendo le conseguenze.
Il concerto dei Lankum, che vede il Barezzi Festival di Parma trasferirsi nella città felsinea, è comunque confermato: ci troviamo al Teatro Celebrazioni in via Saragozza, uno dei luoghi più martoriati di Bologna.
Quando arriviamo alla venue in autobus poco prima delle ventuno la pioggia sta scendendo pesantemente, ma i fan stanno iniziando a riempire pian piano il teatro.
L’inizio del live-show, originariamente previsto proprio per le ventuno, viene rinviato per motivi tecnici di circa tre quarti d’ora (scopriremo solo in un secondo tempo che l’acqua era già entrata nei sotterranei del teatro, dove si trovano anche i camerini): ad aprire quella che purtroppo sarà una breve, ma pur lunghissima serata è “Wild Rover”, canzone tradizionale già presente sul loro terzo LP, “The Livelong Day”, uscito a ottobre 2019 per la Rough Trade Records, così come il più recente “False Lankum” (2023). La canzone, che durerà per quasi dieci minuti, mette soprattutto in mette in luce le fantastiche doti vocali di Radie Peat, ma allo stesso tempo mostra al numeroso pubblico presente oggi in sala come i Lankum sappiano trasformare il folk irlandese in qualcosa di attuale e, in un certo senso inaspettato, utilizzando sì strumenti tradizionali come la chitarra acustica e il violino, ma anche droni e synth e regalando atmosfere cupe, perfettamente in tinta con questa maledetta serata, e piene di emozioni.
E’ invece Ian Lynch a occuparsi dei main vocals nella successiva “The New York Trader”, decisamente più melodica, supportata da un drumming deciso e dal bayan, poi improvvisamente il ritmo si alza, appaiono di nuovo rumorosi droni, mentre non mancano assoli di violino che trascinano l’handclapping del pubblico durante la lunga parte strumentale conclusiva.
La band di stanza a Dublino non dimentica di ricordare il genocidio in Palestina, supportando il martoriato popolo attraverso la pur corta ed emozionante “The Rocks Of Palestine”, loro personale rivisitazione della tradizionale “The Rocks Of Bawn”.
“The Young People”, invece, è decisamente più melodica e aperta e ci porta su territori di folk irlandese più classico, donando comunque tantissime sensazioni di emotività nonché una certa maestosità.
“Rocky Road To Dublin” è cantata da tutti i componenti in coro quasi a voler ipnotizzare i fan emiliani, cupa e rumorosa con i droni a supportare le voci, poi purtroppo Radie, in perfetto italiano (visto che ha vissuto a Bologna per qualche tempo mentre era all’università), avvisa che i vigili del fuoco gli hanno lasciato appena dieci minuti prima di chiudere a causa dell’emergenza dovuta alle pesanti piogge.
“Go Dig My Grave”, triste e altrettanto buia, mette ancora una volta in luce le doti vocali della Peat, ma sono le atmosfere tetre e rumorose a mettere quasi paura e angoscia, poi è la strumentale “Bear Creek” a chiudere il concerto, regalando momenti di totale esaltazione.
“Torneremo in estate“, promettono i Lankum, mentre la gente incomincia a uscire: via Saragozza è chiusa, i mezzi pubblici non passano e bisogna tornare a piedi verso il centro, mentre diventa impossibile per noi raggiungere in tempo il Covo Club per vedere i Deadleatter come nei nostri piani originali.
Purtroppo il loro concerto è durato solamente poco più di un’ora a causa appunto dei problemi metereologici dell’Emilia-Romagna, ma ciò ci ha comunque permesso di godere delle atmosfere uniche e particolari che il gruppo irlandese sa creare: l’appuntamento per poter gustare un set completo è rimandato al prossimo tour.