Mentre si avvicina la chiusura di un 2024 particolarmente significativo per Paolo Benvegnù, ci giunge la riedizione del suo primo album da solista, “Piccoli fragilissimi film”, a 20 anni dalla pubblicazione.

Credit: Mauro Talamonti


Nei giorni scorsi il Nostro si trovava a Sanremo ospite del Premio Tenco, dove ha ritirato la prestigiosa Targa per il miglior album dell’anno, un riconoscimento più volte sfiorato e finalmente ottenuto con “È inutile parlare d’amore”, un po’ la summa del suo percorso, un’opera in equilibrio tra pop e sperimentazione, la cui complessità è mitigata da una patina pop che l’ha resa più accessibile rispetto al passato.

Tutto però era partito da qui, da questa prima prova discografica dopo la traumatica (e romantica) fine degli Scisma, ensemble indimenticabile del panorama rock nostrano emerso negli anni novanta.

Se riavvolgo il nastro dei ricordi e torno a quel periodo, ricordo che il buon Paolo era divenuto quasi una sorta di desaparecido, in quanto nei cinque anni successivi allo scioglimento della band, pur non rimanendo inattivo, tutt’altro, si era un po’ defilato dalle ribalte, preferendo muoversi dietro le quinte in progetti particolari sempre di gran pregio, come nel caso degli Otto’P’Notri.

Non poteva però Benvegnù rimanere a lungo nelle retrovie, pochi infatti in Italia possiedono il suo talento, la sua capacità di scrittura, finanche la sua genialità.
Dovevano maturare i tempi, era necessario trovare una nuova dimensione, persino una nuova veste di artista.

Nacque così un disco in cui le asperità espressive e le dissonanze rock care al gruppo madre venivano meno in funzione di elementi più intimi, già allora di stampo cantautorale, tuttavia così differente da ciò che eravamo soliti accomunare a quel filone narrativo e poetico.
Erano gli anni zero, in cui emersero nuovi nomi, destando interesse, penso a Dente o a Brunori Sas, ma Paolo Benvegnù aveva un linguaggio tutto suo, per quanto non ancora affinato del tutto, forse un po’ trattenuto eppure già tangibile, sedimentato e che si sarebbe manifestato appieno nelle sue successive pubblicazioni, ancora più personali, oltre che ricche di idee e ispirazione.

Ora “Piccolissimi fragilissimi film” rivive attraverso altri occhi e suoni ma sempre col suo protagonista principale in prima linea. Le canzoni vengono reinterpretate assieme a numerosi esponenti della scena italiana, appartenenti a mondi anche diversi ma tutti uniti nel riconoscere l’impatto e la statura di un artista mai troppo celebrato secondo i suoi indubbi meriti.

Nello scorrere l’elenco dei partecipanti a questo tributo, è inevitabile rimarcarne la varietà e l’eterogeneità; si va da nomi all’apparenza lontani dal suo modello di riferimento, come ad esempio Piero Pelù, La Rappresentante di Lista o Ermal Meta, ad altri che invece sembrano più affini (Giulio Casale, Max Collini e il già citato Dente); nel mezzo troviamo artisti di grande caratura come Tosca e Paolo Fresu, cantautori di nuova generazione ormai consolidati quali Motta, Giovanni Truppi e Appino, uno dei gruppi simboli del rock alternativo che “resiste” (i Fast Animals and Slow Kids), prelibate cantanti con cui Benvegnù aveva già collaborato (Malika Ayane e Irene Grandi) e l’astro nascente Lamante.

Indubbiamente attorno all’operazione vi era tanta curiosità, e i sentimenti più diffusi prima di mettersi all’ascolto di queste rinnovate versioni di pezzi in alcuni casi già ben storicizzati (“Il mare verticale” vantava già due cover, realizzate da Marina Rei e Giusy Ferreri, mentre “Io e te” fu rivisitata persino da Mina nel suo album “Caramella”) erano principalmente due.
Da una parte un genuino entusiasmo e l’idea che si andasse a migliorare qualcosa di già estremamente bello; dall’altra il timore che il tutto potesse sembrare non dico artificioso, ma comunque distante dall’idea primigenia del disco.

Sono bastati pochi assaggi in fondo per scongiurare l’infausta seconda ipotesi, giacché ogni artista coinvolto si è approcciato alla materia col massimo rispetto e la necessaria empatia, ma allo stesso modo non mi sento nemmeno dire che il risultato finale abbia avvalorato ancora di più il disco uscito in origine vent’anni fa.

Certo, non mancano gli spunti d’interesse, e le sorprese (se così vogliamo chiamarle) arrivano a mio avviso proprio da quei compagni di viaggio che meno avrei pensato sposassero la poetica di Benvegnù.
Invece appunto convincono Pelù, che duetta in modo misurato, quasi sommesso in “Fiamme”, Ermal Meta che dona ulteriore grazia a “Il mare verticale” (impreziosita dalla tromba di Fresu) e Veronica Lucchesi de La Rappresentante di Lista, la cui vocalità si innesca perfettamente nella poetica “È solo un sogno”.

Anche il duetto con Malika Ayane (“Io e te”) risulta assai gradevole, e d’altronde già nella recente “Non esiste altro” (pubblicata nell’Ep “Solo fiori”) la stessa aveva dimostrato un’ottima intesa con l’ex Scisma.
Restando alle voci femminili, la giovane Lamante ha confermato di essere già a un livello di maturità notevole, risultando oltremodo credibile nel cimentarsi con l’intensa “Catherine”.

Altri episodi sono riusciti a metà, o perché le aspettative erano sin troppo alte (Tosca alle prese con la splendida “Cerchi nell’acqua” lasciava presagire assolute vette ma non ho avvertito, ahimè, quell’emozione condivisa), oppure perché non si è colmato un gap interpretativo (alludo al pur validissimo Giovanni Truppi, il quale ha eseguito alla sua maniera “Il sentimento delle cose” finendo un po’ per snaturarla).

Spendo infine due parole per le bonus track, che chiudono “Piccoli fragilissimi film – Reloaded” regalando nuovi sussulti.
La prima (“Preferisci i silenzi” con Giulio Casale) è addirittura tra le migliori canzoni del lotto per pathos e profondità, e un po’ spiazza sapere che fu esclusa all’epoca dalla scaletta; segue “Le gioie minime”, cantata con la giusta passione dall’amica Irene Grandi, e infine “Isola ariosto”, che si dipana per otto lunghi e onirici minuti, nei quali Paolo Benvegnù sembra tornato indietro agli anni novanta, quando sul palco sputava fiumi di parole inchiodando gli spettatori all’ascolto (nella fattispecie è coadiuvato da Max Collini, che fa capolino nel finale con il suo riconoscibile spoken word).

In conclusione, avendo amato in origine questo album e avendolo assimilato negli anni, credo che quella delicata magia di allora non sia stata qui raggiunta, però si tratta di sicuro di un lavoro ben costruito e assai piacevole, e se ciò contribuirà a far conoscere di più il nome del suo autore ne sarei assolutamente felice, perché Paolo Benvegnù merita di abbracciare un pubblico ancora più ampio.

Queste le prossime date live di Paolo Benvegnù:

12 novembre Bologna – Locomotiv Club
16 novembre Nichelino (TO) – Teatro Superga
17 novembre Firenze – Viper Theatre
21 novembre Milano – Santeria
22 novembre Isola Della Scala (VR) – Showtime Arena
23 novembre Roma – Monk