Per il loro settimo album in studio, gli Indelicates hanno fatto passare sette anni dalla pubblicazione del precedente e, anche se Simon e Julia Indelicates non sono stati fermi, ma hanno, semplicemente, portato avanti altri progetti artistici, oltre a occuparsi dei loro figli Ryder e Lyndon, ci sono tutti i requisiti di un ritorno in grande stile in questa nuova fatica del progetto principale della coppia. Basta anche solo un ascolto di queste nuove canzoni per cogliere facilmente l’ampia mole di lavoro messo in campo in ogni aspetto possibile e immaginabile: l’elaborazione del concept; la scelta dei riferimenti musicali e il loro utilizzo; la costruzione sonora e armonica dei brani; la cura dell’equilibrio narrativo, con la voglia di non apparire né retorici, né arroganti, né superficiali. Andiamo con ordine, perché di carne al fuoco ce n’è moltissima, ed è un altro merito in un’epoca in cui sembra che l’arte di fare dischi sia trattata alla stregua della creazione di contenuti, nel senso che l’importante è il tempismo e l’impatto iniziale su chi ne fruisce, senza alcuna attenzione ad andare più in profondità, tanto l’importante è suscitare una prima impressione positiva perché la settimana dopo ci si è già dimenticati di quel disco magnifico accolto con peana assortiti il venerdì precedente.
Partiamo dall’elaborazione del concept, ovvero il richiamo al movimento denominato QAnon come sineddoche per rappresentare la clamorosa e preoccupante escalation dei complottismi e delle teorie cospirazioniste sempre più in voga in Rete. Chi le promuove è sempre più abile nel farlo mescolando con maestria affermazioni populiste capaci di abbindolare chi non ha un minimo di senso critico e linguaggi in codice ai quali gli internauti nerd si attaccano come mosche al miele. Questa azione a doppia direzione serve per creare quel grado di diversificazione per far sì che si verifichi la giusta dinamica che porta un’ampia parte dei frequentatori della Rete a immedesimarsi con le assurdità raccontate da questi personaggi. La scelta di usare proprio QAnon come architrave della narrazione potrebbe sembrare azzardata, poiché non è certo un argomento così discusso al di fuori dagli Stati Uniti, ma Simon e Julia hanno sempre avuto come priorità numero uno il lanciare messaggi centrati e efficaci e, anche grazie alle imminenti elezioni presidenziali proprio in USA, l’ascolto attento e approfondito di questo disco è in grado di convincere al meglio della serietà della situazione. Meglio portare a sé poche persone, ma farlo al 100%, piuttosto che godere di un generico consenso destinato a non mettere radici.
Come hanno fatto, in questo caso, Simon e Julia a fare centro anche stavolta? Come si diceva, con la scelta dei riferimenti e il modo di usarli. In breve, perché ci sarebbe da fare trattazioni approfondite per ogni canzone, i due hanno deciso di prendere ispirazione da musica che avrebbe tutte le caratteristiche per essere apprezzata dagli aderenti alle teorie di cui sopra. Nello specifico, parliamo soprattutto di un rock colorato e sgargiante in un immaginario stile musicale che sta in mezzo tra Van Halen e Fleetwood Mac, con un sound sempre luccicante, un marcato utilizzo di armonie vocali e strumentali, melodie immediatissime e la sensazione, per l’ascoltatore, di sentirsi quasi spinti verso altezze che appaiono raggiungibili solo con un adeguato impianto motivazionale. Un po’ come quando, per simboleggiare la voglia di superare i propri limiti, nei film viene sparato a palla il riff di “Eye Of the Tiger”. Un simbolismo dozzinale, ma che tutti capiscono, e che, però, qui serve a far sì che l’ascoltatore attento sorrida alla dabbenaggine di chi si fa tirare in mezzo da populismi e complottismi, e allo stesso tempo si renda conto che è comunque difficile svegliare le coscienze e tenerle lontane da queste derive, perché certi modi di fare sono proprio come i riferimenti citati sopra, ovvero è difficile che non acchiappino l’attenzione.
Per fare le cose al meglio, Simon e Julia piazzano qua e là dei veri e propri plagi, chiaramente voluti, come quello a “The Sweetest Thing” degli U2 o a “Like A Prayer” di Madonna. Sono citazioni messe lì proprio per amplificare i messaggi sotteso alla proposta di canzoni come queste, ovvero sfruttare dei ganci conosciuti dalla stragrande maggioranza delle persone per attirarne l’attenzione anche inconsciamente, grazie al fatto che queste citazioni si piazzano nel retro dei cervelli per via del fatto che sono conosciute ma allo stesso tempo non viene immediato coglierle esattamente. Un escamotage davvero raffinato, da veri artisti. Inoltre, per mantenere l’attenzione sempre alta, infilano nella tracklist dei brani che opportunamente rallentano il ritmo e abbassano l’adrenalina, perché è anche giusto che chi viene colpito sull’immaginaria via di Damasco abbia modo di tirare il fiato e sentirsi anche coccolato, e non sempre e solo spinto a dare il massimo.
Per compiere al meglio la difficile missione che si sono posti, i nostri eroi hanno necessariamente dovuto mettere in ogni singolo dettaglio e nell’interazione tra essi un’attenzione ai limii del maniacale, e forse pure oltre. Rispetto alla data di uscita ufficiale, era possibile ascoltare il disco fino a un mese prima, se si decideva di fornire un supporto economico tramite il pre order, e in questo mese l’ho ascoltato un numero incalcolabile di volte. Ebbene, ci sono così tante idee a livello di dinamiche sonore che è praticamente sempre come ascoltarlo la prima volta a livello di impatto e di resa, e le melodie sono così indovinate che non hanno alcuna data di scadenza e suonano sempre freschissime come appena sfornate. Del resto, se così non fosse, non ci sarebbe possibilità che il messaggio arrivi forte e chiaro come Simon e Julia vogliono che arrivi e come in effetti arriva.
Ancora non basterebbe tutto ciò che ho esposto finora per certificare l’eccellenza di questo disco, perché mancherebbe l’ultimo aspetto di cui parlavo all’inizio, ovvero la cura dell’equilibrio narrativo. Come spiega lo stesso Simon in un lungo post su Substack che vi invito a recuperare, e in coerenza con il già descritto uso dei riferimenti musicali, l’unico modo per dire al meglio ciò che si vuole dire in queste canzoni è utilizzare l’arma dell’ironia. Nel senso che non avrebbe senso accusare apertamente i cospiratori dei loro disegni, e nemmeno apostrofare i seguaci con insulti e prese in giro. Meglio, molto meglio, giocare al loro stesso gioco, dicendo cose che, se fossero solamente parole scritte, potrebbero sembrare degli elogi o comunque delle manifestazioni di assenso, ma invece sono degli arguti inviti a diffidare di tutti questi castelli di carta, e tale connotazione è data dal tono vocale e dalla connessione tra voce e musica. Certo, per apprezzare come si conviene i messaggi arguti, l’ascoltatore deve avere arguzia, ma in verità questo è uno di quei casi in cui è più facile ascoltare e capire piuttosto che raccontare a parole ciò che gli Indelicates hanno voluto fare, e come ci sono riusciti perfettamente.
Se siete arrivati a leggere fin qui, vi ringrazio, perché mi rendo conto che questa mia trattazione ha assunto le dimensioni di un lenzuolo, ma se vorrete anche ascoltare questo disco magnifico, capirete da soli che questo è lo spazio minimo possibile per dare il giusto apprezzamento a un’opera di rara profondità, capace di ritrarre un aspetto poco considerato della contemporaneità in modo particolarmente vivido e realistico, per far capire a tutti che, purtroppo, la soglia di attenzione contro certe derive non è mai abbastanza alta.