La vita a volte è strana. Avevo grandi aspettative per l’album d’esordio dei NewDad, che, invece, a conti fatti si è rivelato piuttosto deludente e piatto, mentre non mi attendevo realmente nulla da “Bottom Of The Pool”, esordio solista di Julie Dawson, voce della band irlandese, che invece mi ha emozionato tantissimo.

Credit: Bandcamp

La collaborazione con Jack Hamill è fruttuosa e Julie lavora benissimo nel creare un fragile, notturno e magnetico mondo elettronico che richiede la nostra attenzione ai dettagli, ai minimi riverberi e ai piccoli movimenti, piuttosto che attendersi l’impatto più fragoroso o fortemente cangiante. Questa caratteristica, che si dipana in tutti gli 8 brani del disco, rende l’opera molto delicata e suggestiva, con un suono quasi spartano che però non sentiamo affatto povero o carente. I “pochi” elementi sono più che bastanti a creare la giusta atmosfera che ci cattura e ci fa vivere ogni canzone con interesse ed empatia, quella che realmente mancava nell’esordio della sua band principale.

I synth tracciano la linea principale e Julie, con una voce pulita o filtrata entra, ma in punta di piedi, come se non volesse turbare lo spazio e la magia che si sta costruendo. I ritmi stessi sono pacati, tranne forse nella più incalzante “Close The Door”, la più “ballabile” del lotto. Ogni tanto qualche chitarra fa capolino ma si integra alla perfezione con il mood sonoro: pensiamo a “Hailee”, in cui il suo gentile della chitarra si ripete in loop mentre un mondo onirico si dipana intorno a noi.

Le cose inaspettate sono le più belle e Julie Daswon mi spinge a guardare con fiducia al prossimo album dei NewDad.