Dopo una lunga sequela di singoli che hanno rovinato un po’ la sorpresa, i Cold Cave tirano fuori un progetto che per la prima volta vede un’intensa collaborazione tra Wesley Eisold e Amy Lee.

Credit: Bandcamp

“Passion Depression riguarda la dicotomia nella distopia del mondo moderno. È la lotta per trovare l’amore nella terra dei conflitti! Come si rimane umani e solidali uno verso l’altro di fronte alle offese di minacce ed ingiustizie?”

Così Amy Lee descrive l’ultimo lavoro realizzato da lei e Wesley Eisold sotto il nome di Cold Cave, e sicuramente sono vere per questo album come per molte delle tematiche più care al cantante statunitense. E attorno al sentimento di un mondo caotico riflesso nella musica i due, che per la prima volta compongono e scrivono un intero progetto a quattro mani aiutandosi e completandosi a vicenda, scrivono bei testi intrisi di romanticismo e decadentismo.

“Wasting / The hours / They’re not ours to keep”

Così “Hourglass” rimarca la crudeltà del tempo che non si fa afferrare, e in questo senso di abbandono risulta ancora più potente la scelta dell’amante di non lasciar andare via la donna. L’amore, dunque, è il centro. Che sia oggetto d’amore reso divino (“She Reign Down”); che sia un amore perso e ci si spogli da esso per abbandonarsi alla danza frenetica di “Shadow Dance”; che sia la dolcezza dell’amore unita all’amarezza del mondo, in un unico sentimento di passione-depressione (“Blackberries”). Anche la tentazione del canto ammaliante delle sirene passa attraverso un desiderio d’amore, che salva e libera l’uomo (“Siren Song”). E se i testi sono degni d’attenzione così è la musica prodotta dal duo, seppure non sempre riesca ad imprimersi troppo o a suscitare grandi reazioni. Di sicuro c’è un grande lavoro dietro ogni produzione, e si sente la volontà di non creare facili operazioni nostalgia che troppo spesso appaiono in generi come quello dei Coldcave, figlio della grande stagione degli ’80 fatta di Depeche Mode, New Order, Sister of Mercy e via dicendo. Si capisce il grande amore di Eisold per i sintetizzatori, la poetica goth e la dark wave, e con questo amore ha contribuito moltissimo negli anni a riportare l’attenzione di ascoltatori e critici ad un genere che ad inizio millennio veniva proposto troppo timidamente. Tra le migliori del disco – breve con solo 8 tracce sulla scia del precedente “Fate In Seven Lessons” – ci sono “Shadow Dance”, con una cassa dritta che crea un ritmo frenetico su cui i synth riescono ad essere suggestivi nel riff e caotici verso la fine; “Hourglass” che si apre con una distesa synth e una chitarra acustica che creano un’atmosfera solenne e agitata; “Siren Song” con il suo giro che ti entra subito in testa è costruita benissimo. Ma in tutto il disco ci sono dettagli che stupiscono: il ritornello di “Blackberries”  che si apre sempre a nuove soluzioni, oppure l’efficacia del giro di chitarra in “Everlasting” che si completa solo alla fine, o ancora la bella aggressività di un brano come “Holy Road”. I Cold Cave con quest’ultimo progetto si riaffermano tra i più importanti nomi in circolazione per quanto riguarda testi d’amore dolceamari e synth danzerecci e malinconici.