Paladina di un certo revival post punk, più dalle parti di un gothic rock oscuro a tinte industrial, torna in Italia, dopo diversi anni, forse l’ultima apparizione risale addirittura, se non sbaglio, ad una collocazione di guest del concerto degli A Perfect Circle al Forum di Assago, prima del covid.
Sempre puntuale nei tour europei, ma merce rara poterla vedere dalle nostre parti.
Classe 1983, una carriera lunghissima alle spalle, fatta di un lavoro infinito di ricerca, senza concedere nulla al compromesso, tanto da guadagnarsi, giustamente, tutti gli appellativi del caso in senso positivo, artista vera indubbiamente.
Quindi anche l’ottimo ritorno “She reaches Out To She Reaches Out To She” conferma le attese, dopo un periodo di disintossicazione e una ritrovata energia per un disco affatto semplice e forse anche più estremo e grezzo che in passato, mescolando sapientemente una certa parete distorsiva con i territori più accondiscendenti del suono di Bristol.
Passa al Magnolia, allestito per l’abituale versione indoor, per un tour autunnale attesissimo da uno zoccolo duro di fan da ogni dove, assolutamente devoti ad un’icona indiscussa, tant’è che l’evento è esaurito con largo anticipo.
Apre la serata una cantautrice o performer dal cosiddetto sottobosco underground, quello tanto amato da tutti noi, lei si chiama Mary Jane Dunphe, con un disco “Stage Of Love” pubblicato lo scorso anno, ragionevolmente sconosciuta ai più, si prodiga in una trentina di minuti di grande musica, le canzoni non mancano, anzi c’è una scrittura di fondo molto interessante, l’esibizione live vira verso una sorta di performance elettro teatrale molto fisica, fatta di balli e pseudo acrobazie, brani cantati e quasi recitati su un letto di beat e drones, mi aveva colpito di più nella versione in studio. In questa dimensione live, risulta meno efficace, va sottolineato che l’assenza di una vera band, sebbene sia una soluzione assolutamente sdoganata, in questo caso, credo, abbia penalizzato.
Subito dopo Chelsea Wolfe, che regala un concerto granitico, in atmosfere gotiche, con un wall of sound oscuro immersa in luci spettrali.
Anche live conferma tutte le lodi spese per il suo inattaccabile percorso.
Si alterna, nella fattispecie, al solo canto o anche imbracciando un elettrica, addentrandosi ancora di più insieme ai tre compagni di viaggio, in un suono diretto e senza fronzoli.
Gran parte del disco nuovo in scaletta, alla fine, saranno sedici brani per un’ora e mezza filata, quasi senza pause, se non per l’impercettibile uscita di scena, prima dell’abituale conclusione, nei bis, affidata alla apocalittica “Carrion Flowers”.
Dicevo, parecchio materiale dall’ultima fatica, come l’ouverture di “Whispers in the Echo Chamber”, o la successiva “Everything Turns Blue”, ma anche una monumentale “After the Fall” dal bellissimo “From the Abyss” del 2015, o l’eccellente, nonché preferita dal sottoscritto, “The Mother Road”, insomma tantissima carne al fuoco.
Sublime.