Credit: Fabio Campetti

Freschi di album nuovo, ritornano in Italia anche i Public Service Broadcasting, collettivo londinese prolifico come non mai, con i suoi sei album in poco più di un decennio di carriera.

Originali di per se nello scrivere una pagina di un certo genere, configurato come history-rock, quindi una sorta di narrazione frutto di campioni e frammenti posizionati su un tessuto sonoro, sicuramente un progetto non certo canonico, catalogabile all’interno di un discorso di instrumental band.

Sono nel nostro paese per presentare “The Last Flight“, l’ultimo nato, un lavoro brillante che conferma ancora una volta tutta la qualità di questo collettivo, non solo per le eccellenti scelte in fase di arrangiamento, ma anche per un tradizionale songwriting, frutto di collaborazioni e ospitate per interpretare alcune pregevoli linee vocali, una su tutte, per esempio, la bellissima “The South Atlantic”, completata al meglio dalla stupenda voce di Kate Stables, meglio conosciuta come This is the kit.

Un disco sorprendente, perché mette sul piatto una serie di pop songs molto compiute e rotonde, posizionando questa release tra le mie preferite del 2024.

Al tempo stesso continua la missione di combinare sapientemente diversi strumenti con minuzioso senso estetico, album che arriva dopo l’esperimento live di “The New Noise” dello scorso anno e tre anni dopo l’ottimo “Bright Magic”.

Come spiega bene la nostra Valentina nella recensione del disco, il racconto di “The South Atlantic” è incentrato e sviscerato sulla storia di Amelia Earhart e oltre alla già menzionata Kate, ci sono altre ospiti come Andreya Casablanca e EEra per esempio.

Serata di fine autunno, quasi natalizia, in un Bellezza sold out con largo anticipo, partono, con un set acustico, i pregevoli Six Impossible Things, duo formato da Nicky Fodritto e Lorenzo Di Girolamo, vengono da Lodi, suonano una manciata di brani, tratti dai loro EP: non li conoscevo e sono, sinceramente, molto bravi, dediti ad un dream pop di ottima fattura, cantato a due voci, che magicamente si sposano alla perfezione, a testimoniare anche che tra le nuove generazioni di musicisti, ci sia la voglia di portare avanti questo messaggio, applausi sinceri.

Subito dopo i padroni di casa, formazione live abituale, in 4 sul palco, tra strumentazione analogica, campionamenti e straordinari visual in tempo reale, un live a dir poco perfetto, con la capacità di utilizzare anche linee vocali registrate senza essere stucchevoli o fuori luogo come, per esempio, in “The fun of it”.

Setlist che fa un piccolo mash up di scelte, sbilanciandosi, ragionevolmente, sul nuovo album. Manca la succitata “The South Atlantic” (per quanto mi riguarda, uno dei brani dell’anno), con mio enorme rammarico, però, poco male, c’è diversa carne al fuoco da far godere appassionati e non.

Si parte con la rasoiata di “Towards the Dawn” per rompere il ghiaccio, diretta e incalzante, passando per un altro ottimo singolo, “Electra”, che ha anticipato questo sesto capitolo della saga, le melodie cullanti di “Progress”, o i muri nineties di “Monsoons”, o come non citare la clamorosa “Go!”, inno di repertorio dal “The Race for Space” del 2015.

Appendice affidata al trittico del calibro “People, Let’s Dance”, “Gagarin” e l’abituale chiusura di “Everest”

Fenomenali.