Terzo album per la band di Manchester che, anche senza percorrere grandi distanze, ama spostarsi nel Nordest inglese per materializzare idee e dischi. Dopo l’esordio del 2019 “Incidental Music” i ragazzi si erano spostati a Todmorden, cittadina situata nella Calder Valley (Yorkshire) dove presero forma i brani di “Vanities“, il loro secondo album, scritto durante il periodo pandemico.
Per la realizzazione di “Every Inch of Earth Pulsates” la band si è spostata a Sheffield (ormai famosa per i miliardi di streaming dei brani tratti da “AM” degli Arctic Monkeys) per affidarsi al produttore Ross Orton (MIA, Arctic Monkeys appunto e Working Men’s Club).
Definito dal cantante Joe Evans ” lo Steve Albini di Sheffield” Ross ha pienamente portato a termine il lavoro, rendere il suono della band capace di trasmettere le emozioni di un live perchè, come dice lo stesso Evans “…la musica è musica dal vivo. È a questo che serve, a essere suonata con la gente“
Al nucleo iniziale composto da Joseph Evans, voce e synth, e Tom Sharkett alla chitarra si soni ultimamente uniti Chris Mulligan, Hannah Peace e Alex Mercer-Main.
Se il primo album si snodava su ritmi geometrici con basi e strutture tipiche del krautrock (seppur infarcite di quel tocco di psichedelia che rendeva il prodotto più “accessibile”), con il sophomore “Vanity” ma soprattutto con il freschissimo “Every Inch of Earth Pulsates” la band mancuniana arricchisce il sound dei brani con nuove sfumature stilistiche che abbracciano nuovi generi musicali.
Il synth-pop di “Bloom and Fade” lascia spazio ad una chitarra scampanellante che gioca con un ritmo danzereccio scandito da un basso instancabile. Stesse dinamiche in “Can’t Lie” e “Bliss Bliss”, brani che incarnano l’energia che la band sa trasmettere nelle esibizioni dal vivo.
“Thinner Wine” mostra il lato “rock” che fa capolino pure in “Flowers in the Rain” che potrebbe tranquillamente essere scambiato per un gioiellino di un’ottima band shoegaze.
“Lilac Sky” apre il disco con toni quasi severi e, lo scopriremo dopo, ingannatori mentre “How to Walk” promette scintille sotto i palchi con quel ” Woooooooooo” destinato a restare impresso nella mente mentre, finito il concerto, ci si incammina verso l’auto o si varca la soglia dell’ unico pub della città ancora aperto.
Grazie al lavoro di Orton i brani assumono la forma canzone, la melodia e il cantato si prendono le meritate attenzioni come nell’ottima ” The Painting of the Bay” o la conclusiva ” I Will Set Fire to the House” dove la voce di Evans (eccelsa in ogni brano) duetta fantasticamente con quella di Hannah Peace.
Trovando un giusto equilibrio tra dance e melodia, tra musica “sintetica” e strumenti tradizionali, i W.U. Lung con questo album possono raggiungere l’attenzione di una platea molto più ampia, se lo meritano davvero.