di Andrea Banelli e Antonio Paolo Zucchelli

Eccoci qua dopo sette anni e mezzo a parlare ancora una volta dei Japandroids: questa volta, però, c’è una vena di malinconia da parte di chi scrive perché Brian King e Dave Prowse da Vancouver, British Columbia, Canada (come solevano sempre dire ai loro concerti mentre si presentavano al pubblico) hanno deciso che “Fate & Alcohol” fosse il loro ultimo lavoro.

Credit: Bandcamp

E sicuramente ci mancheranno loro e la loro musica, così come ci mancheranno i loro incredibili, adrenalinici e grintosi live-show in cui davano il loro meglio per incendiare e far sudare i loro fan.

La press-release spiega che se si guarda al loro lavoro, si trovano canzoni che sembrano scritte per questo momento, per una fine. Canzoni di celebrazione, di avventura e di domani rinviato, ma anche, nel loro cuore, canzoni sulla natura fugace di ogni cosa. Se i Japandroids hanno scritto e suonato come se questo sogno, fin dall’inizio, potesse finire da un momento all’altro, è perché sapevano che sarebbe potuto accadere.

Da una parte possiamo dire che, pur sapendo (probabilmente o sicuramente) che sarebbe stato il loro ultimo LP insieme, il duo canadese non ha provato a rischiare e ha preferito rimanere soprattutto nella sua comfort-zone, ma fondamentalmente questo non deve essere come qualcosa di negativo in assoluto.

La Fender Telecaster di Brian King è sicuramente l’elemento trainante della loro musica, mentre la componente melodica, che da sempre li ha contraddistinti, è ancora ottima.

Come vediamo nel principale singolo “Chicago”, l’energià non viene mai a mancare (così come il drumming energico di Dave e il coro catchy), ma c’è anche un sottile senso di nostalgia che potrebbe far presagire qualcosa.

“Alice”, invece, è una delle più sperimentali di “Fate & Alcohol” con numerosi strati di riverbero e un drumming decisamente poderoso che accompagna la sei corde e la voce sempre passionale di King.

“Fugitive Summer” rimane uno dei pezzi più poppy del disco con quel suo coro dai toni dolci-amari, ma ricco di emotività nel modo in cui i Japandroids l’hanno sempre trasmessa, mentre “Positively 34th Street” è qualcosa di più leggero ed è una delle pochissime canzoni del gruppo canadese a essere così riflessiva, sebbene l’energia strumentale sia comunque presente.

Speriamo un arrivederci e non un addio che si lascia comunque ascoltare con grande piacere e ovviamente risulta molto solido: una band che ha regalato tanto ai suoi fan, lascia una bella eredità di fine carriera.