“Lobster Coda”, il nuovo album solista di Kaktus Einarsson, è tutto fuorché brutto. Ma se il suo principale pregio sta nella breve durata (appena ventisette minuti per otto tracce) significa che quasi nulla gira davvero nel verso giusto. Questo perché la noia scorre in maniera impetuosa nel fiume di note gelide e sintetiche sapientemente composto dall’autore islandese; non appena termina l’opera – sulla scia della voce di un Damon Albarn ospite d’onore nella traccia conclusiva, ovvero la gorillaziana “Gumbri” – si tira un profondo sospiro di sollievo.

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È il classico esempio del “tutto fumo e niente arrosto” che, pur non infastidendo, si esaurisce in un buco nell’acqua. In parole povere: Einarsson e il suo “Lobster Coda” non lasciano tracce del loro passaggio. La classe e il talento del frontman dei Fufanu si avvertono molto poco in questo art rock troppo manierato ed elaborato, ricco di contaminazioni (si segnalano le leggere influenze funk di “Daze Gold” e “Be This Way) ma “annacquato” da un sound patinato, sterile e anonimo.

Dischi del genere li avrete sentiti migliaia e migliaia di volte. Trattasi di indie rock moscio e pretenzioso, farcito di voci diafane e privo di mordente, che “gioca” con un’elettronica blanda per darsi un tono semi-sperimentale e infondere un po’ di vivacità a pezzi smorti e soporiferi. E alla fine della fiera si resta con una manciata di canzoni raffinate e alquanto gradevoli sulle quali, però, si spera di non tornare. L’album è superfluo ma, tutto sommato, si lascia ascoltare.