Album di gran classe il secondo di Emma Hardyman in arte Little Moon da Provo (Utah) che in questi dodici brani cerca una via maestosa e personale al folk più classico. Cresciuta in una famiglia di fede mormone ha vissuto le mille contraddizioni della religione trovando conforto nella musica e nell’arte.

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Temi pienamente sviluppati in “Dear Divine” dopo averli accennati nell’esordio “Unphased” quattro anni fa. Sono canzoni ricchissime di spunti sonori e vocali queste, con Emma Hardyman che sa sfruttare al meglio il suo altissimo falsetto. Fondamentale l’apporto del produttore e multistrumentista Bly Wallentine a coordinare una squadra di musicisti affiatata che trasforma Little Moon in una vera band.

Nathan Hardyman marito e partner musicale è un’altra figura importante nella composizione di brani dove folk e elettronica incontrano jazz (l’uso di clarinetto e trombone) e classica (gli archi, l’arpa). Impossibile non sentirne l’influenza  in “we fall in our sleep”, “now” e nella volitiva e delicata “wonder eye” la canzone con cui i Little Moon hanno vinto il Tiny Desk Concert di NPR l’anno scorso.

Un appeal da colonna sonora (“for you” e “holy and sweet”) dalle forti componenti melodiche messe in rilievo dal banjo e dall’organo che incontra il pop alternativo in “messy love” “kind, kind home”, “give you flowers” e “blue”, il synth pop in “eighteen parts” e “bashful lovers”.

Reinmaginare ciò che è sacro rendendo il concetto meno rigido e più umano tollerante e inclusivo, vulnerabile come nelle note della pastorale “to be a god”. Questa è la chiave di  “Dear Divine” che rende la fragilità, la ricerca di risposte, l’assenza di certezze incredibilmente affascinante.