Una Bruick GNX nera del 1987. Lo sguardo scazzato e oltremodo serioso. Un’espressione simile a quella che potrebbe assumere un attempato quarterback NFL consapevole del fatto che non arriverà mai al Superbowl. Volendo, e con un (bel) po’ di fantasia, potremmo sintetizzare così la già iconica cover del nuovo album di Kendrick Lamar, “GNX” (chiaro omaggio all’auto di cui sopra).

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Epperò, con un piccolo (mica tanto) dettaglio da mettere subito in evidenza: l’artista di Compton, all’halftime show del Superbowl – l’iconico intervallo della finale di football americano – si esibirà davvero (il prossimo 9 febbraio). Detto questo, l’opera nuova del rapper californiano è giunta sul proscenio musicale in maniera quasi inaspettata, fregandosene allegramente delle logiche di mercato e del nostro “The Weekender” (ma lo si perdona, dai). E se il 2024 era già cominciato nel segno di Mister Lamar (e della quasi infinita faida musicale intrapresa con Drake), questo “GNX” non può che rappresentare la ciliegina sulla torta di un’annata decisamente positiva per il musicista americano.

Il caro vecchio Kendrick, oramai, rappresenta uno dei numi tutelari di una scena – quella hip-hop – che pur vivendo di costanti alti e bassi, riesce sempre a rinnovarsi e a risorgere dalle proprie ceneri. Si tratta, infatti, di dodici tracce realizzate con astuta maestria e che spaziano su più fronti sonori, affacciandosi sia dalle parti degli Eighties a stelle e strisce (la splendida “Squabble Up”) che nei Novanta di Tupac (campionato in quel pezzone che risponde al nome di “Reincarnated”). Il buon Kendrick, in pratica, ha confezionato un album che riesce a sorprendere chi ascolta pur senza clamorosi effetti speciali. A tutto il resto ci ha pensato la sfilza dorata di blasonati collaboratori: da quel geniaccio di Jack Antonoff a Mustard (solo per citarne alcuni).

“GNX”, in pratica, è il viaggio glamour e patinato di Kendrick Lamar a bordo di un’auto d’epoca e con lo stereo a palla. Una sorta di universo parallelo in cui riescono a incontrarsi le atmosfere di GTA con l’immaginario notturno della sopraccitata Compton (“Man At The Garden”). Per chi scrive, si tratta – senza dubbio alcuno – di uno degli album dell’anno. Basti pensare che persino nei momenti più riflessivi – come nell’ottima “Luther” (impreziosita dal featuring tutt’altro che banale di SZA) – Lamar riesca a rendere il suo flow maledettamente incisivo. Provando a tirare un po’ le somme, dunque, potremmo definire “GNX” come uno dei lavori più convincenti del rapper. Non un’opera perfetta, ma l’album giusto al momento giusto.

E chissà che non possa fungere da ispirazione anche gli altri top-players della scena. Vero, Drake