Dopo l’ottimo debutto con “Toska” e l’altrettanto interessante EP “Vacanza” i Gomma si trovano alla fatidica prova del secondo album.
La maturazione nei testi è innegabile: è sparito l’astio adolescenziale che caratterizzava i primi due lavori per far spazio a temi più seri come l’alienazione (“Fantasmi”), il suicidio e i disturbi alimentari (“Tamburo”).
è rimasto però lo stesso stile di scrittura concreto ed evocativo che lascia impresse immagini ben definite come un buon libro (ricorrono in varie canzoni della prima parte del disco case a più piani e pareti, mentre “Come va, Paolo” si fa ricordare per le vene piccole che non fanno venire la febbre).
Le sonorità evidenziano un taglio drastico col passato, la band di Caserta ha infatti abbandonato le influenze emo e math del primo LP e le atmosfere più leggere e rilassate di “Vacanza”. Qui si va a tutto punk, senza ripensamenti.
è un arma a doppio taglio: se da un lato l’album risulta coeso, dall’altro le singole tracce perdono d’identità . Mancano pezzi riconoscibili istantaneamente come “Elefanti”, “Vicolo Spino”, “Vacanza” e “Foresteria”.
Fin qui nulla di irreparabile, ma c’è un grande problema a livello emotivo, che è poi ciò che non rende memorabile il disco: l’assenza dei classici pugni allo stomaco a cui i Gomma ci avevano abituato.
Sulla carta le parole e la musica di “Sacrosanto” dovrebbero invocare una rabbia malinconica, rancorosa e astiosa e Ilaria col suo cantato è sì incazzata, ma, a differenza dei precedenti lavori, convoglia solo stanchezza e rassegnazione e questo causa una mancanza di connessione che contribuisce ulteriormente a non elevare nessuna traccia.
La cantante ha smesso di urlare per non danneggiare ulteriormente la sua voce, ma se prima sembrava che l’espressione artistica fosse un’esigenza viscerale, in questo LP risulta un lavoro, un dovere.
Non tutto è perduto, i Gomma rimangono una validissima band, una delle migliori nel panorama emergente italiano e hanno scelto con decisione una nuova strada. Nel comunicato stampa e in varie interviste parlano di un “secondo debutto” e vorrebbero che ci si dimenticasse di “Toska”. Io non lo
voglio fare e, anzi, spero che col tempo imparino a incorporare gli elementi che avevano reso quell’album straordinario nella loro nuova visione artistica