Arriva in Italia per un unica data il collettivo dal nome impronunciabile Khruangbin, ci ho messo giusto un paio di mesi per impararlo e ho dovuto pure correggerlo perchè avevo sbagliato a scriverlo, lol. Alla fine sono “quelli che non cantano” anzi quelli che “cantano con le chitarre” e, diciamolo, quanto sono ultra fighi.
Per farla breve questi, in un epoca, dove i testi sono un intruglio di una milionata di parole, pensano bene di uscirne con un repertorio praticamente quasi tutto strumentale, eccezion fatta per qualche coretto mono nota o della bassista o all’unisono, adeguatamente posizionato in sottofondo pari ad un orgasmo silenzioso per non svegliare qualcuno, giusto in “Evan finds the third room” c’è un testo articolato (si fa per dire). Con un’estetica da 110 e lode, si presentano, come da copione, in tre onstage, puntualissimi per una sempre deliziosa Santeria sold out (vero, a conti fatti, parliamo di un piccolo club, ma fa sempre molto piacere vedere un’affluenza così copiosa e calorosa per una proposta assolutamente fuori moda con le tendenze attuali).
Basso, chitarra e batteria. Sintetizzatori? Non pervenuti. Elettronica? Idem, rap? Solamente omaggiato. Un gruppo, praticamente, appena uscito da un Woodstock futurista e dico: come si fa a non amarli? Coraggiosi come uno che si lancia in un bunjee jumping, psichedelici come un funghetto peyote del 1969, mescalina allo stato puro.
Hanno due album da pro o ri-promuovere “The Universe Smiles Upon You” del 2015 e “Con Todo El Mundo” dello scorso anno e altrettanti Ep; snocciolano una setlist in versione best of, con tanto di momento medley dove prendono alcuni brani noti o meno (un micro ed emozionante accenno all’evergreen “Wicked game” per esempio) rifacendoli a loro modo e col loro marchio, prima del gran finale con un bis richiamato a furor di popolo, sempre senza fronzoli, sempre cantando con la stratocaster e sempre con quel nome impronunciabile.