Ci sorprende UMG o forse no. Se pensiamo al sound solare e molto “Smiths” degli Stella Maris (il suo ultimo progetto) ci si potrebbe trovare spiazzati di fronte alla cupezza e all’aggressività di “Forma Mentis”, ma se conosciamo bene la discografia del cantautore di Sant’Elpidio a Mare ecco che tutto ci appare frutto di un percorso ben chiaro, iniziato ormai quando ci fu l’abbandono al marchio Moltheni.
Chitarre ruvide e psichedelia. L’equilibrio personale che Umberto Maria Giardini ha trovato nella sua musica è assolutamente perfetto ed encomiabile. Quando le chitarre arrivano e ruggiscono la sensazione è quella di trovarsi in pieni anni’90, quasi come se compagno di viaggio di Umberto in questo lavoro fosse Jerry Cantrell. Che poi ricordiamo bene che anche il secondo album di Moltheni (2001, “Fiducia Nel Nulla Migliore”) era un disco in cui il lato più chitarristico emergeva prepotente rispetto alla componente folk dell’esordio: questo per ribadire che con UMG queste non sono mai strade cauali, ma che fanno parte di un suo background personale. Dicevamo chitarre elettriche sporche, corrotte e acide, ma anche psichedelia, momenti in cui il tutto si dilata, si slabbra e, davanti a noi, quello che prima sembrava un muro soffocante si squarcia, lasciando emergere spazi ampi, in cui il suono si fa più morbido, liquido e meno aggressivo.
In realtà , anche nei testi, Umberto riesce a mediare il peso specifico importantissimo delle sue parole, coprendo il tutto con un manto quasi psichedelico, in modo che il messaggio non sia diretto e bruciante, ma velato, da meritare approfondimenti, ascolti continui e meritevole di chiavi di lettura successive.
Meno coinvolgente dal punto di vista melodico rispetto ad altre pubblicazioni, ma più capace di penetrare in zone d’ombra che cerchiamo di evitare, “Forma Mentis” è l’ennesima conferma del fatto che UMG gioca un campionato a parte rispetto a tutti quanti. Fuoriclasse.