Diamo il bentornato a Tamaryn Brown che torna in pista con un nuovo, piacevole, album. La fanciulla neozelandese, ormai americana a tutti gl ieffetti, spinge il piede sull’acceleratore di quel synth-pop che aveva già fatto capolino con il precedente “Cranekiss”: chi si aspettava un ritorno alle atmosfere più shoegaze degli esordi resterà deluso, ma ipotizziamo che ben pochi credessero in un ritorno a quel sound, chi vi scrive in primis.
Non faccio mistero di aver apprezzato l’eleganza del disco appena citato, sarò un nostalgico e un devoto al synth-pop (mie debolezze, lo ammetto), ma “Cranekiss” mi era piaciuto e lo stesso accade anche per questo “Dreaming The Dark”.
Ispirato, nei contenuti, a una sorta di misticismo (che potrebbe ricondurre anche all’estetica di una band come i Pure Bathing Culture, evocati anche musicalmente in “Terrified”), l’album è nato dalla collaborazione (ancora) con Jorge Elbrecht e dalla necessità di Tamaryn di raccontare cambiamenti, instabilità e vicissitudini che l’hanno coinvolta in questi anni a livello personale.
Le sue recenti interviste non nascondono i riferimenti del lavoro che, lo diciamo candidamente, emergono più che chiaramente: si parla di Annie Lennox ed Eurythmics, Tears for Fears, Kate Bush e Simple Minds e Cyndi Lauper. Nella sua via più apertamente “syntetica”, la nostra Tamaryn, che a tratti si avvicina anche a Madonna (vedi title track), non manca di far riferimento comunque a quel lato oscuro della forza (evocato fin dal titolo e che si manifesta sopratutto nella parte centrale del lavoro), che potrà far felici anche i fan dei Cure.
Niette di nuovo sotto il sole certo, ma un lotto di belle canzoni che guardano al tempo che fu, un pugno di melodie molto azzeccate (in particolare il ritornello di “Path To Love” e l’andamento ultra pop di “The Jealous Kind”) e i nostalgici come il sottoscritto alzano il pollicione.