Andrò forse contro corrente e, come al solito, me ne interesserà beatamente meno di zero.
Ma questo secondo album del quartetto femminile di Nagoya, dopo il primo “Pink”, se può farsi apprezzare per energia, entusiasmo, per essere ammiccante e a presa diretta, pecca clamorosamente nei contenuti, nella personalità , nel valore assoluto: un disorganico meltin’ pot del pop a tinte dreamy che finge di essere rock nell’animo o di prendere traiettorie new wave 80’s (o punk, appunto), buono per far colpo su qualche ascoltatore poco più che adolescente e magari come sigla di qualche anime. Un lavoro che sembra più studiato a tavolino per funzionare, che funzionare per essenza.
A mio parere, ovvio, e sono pronto a rimangiarmi tutto quanto sopra. Ma la vedo dura…
Facciamo così, Chai: voi continuate a divertirvi in musica. E io continuerò a fare altro.