Alzi la mano chi oggi si ricorda delle Pipettes, band inglese che fece capolino nelle playlist indie pop di metà anni 2000. Probabilmente nessuno o quasi: il gruppo suonava pezzi zuccherosi dal sapore 60’s, gradevoli ma tutt’altro che memorabili, e nel breve volgere di un paio di album scomparve dalle scene.
Come una fenice britannica dotata di una insospettabile capacità di scrittura e creatività , dalle ceneri delle Pipettes è emersa Rose Ellinor Dougall, che a band sciolta ha iniziato a scrivere pezzi per sè e a collaborare con superstar come Mark Ronson, con un certo successo.
Le prove soliste – “Without Why”, del 2010, e “Stellular”, del 2017 – non lasciavano intravedere particolari motivi per andare oltre l’ascolto superficiale ed è per questo che stupisce ancor di più un disco come “A New illusions”, appena pubblicato, riuscitissimo, pieno di suoni ammalianti, cantautorato di qualità e felici rimandi ad artisti più o meno noti. I primi che vengono in mente, già dal brano di apertura “Echoes”, sono i Broadcast della compianta Trish Keenan, con quel suono retrofuturistico tra il pop e la sperimentazione, e insieme a loro una serie di influenze diverse ma tutte molte “‘dilatate’ ed eteree: la voce di Sandy Denny e la liricità di Joanna Newsom (con l’arpeggio etereo di “Wordlessy”), Jonathan Wilson (nella folk ballad sognante “Something Real”), Florence e i Fleet Foxes (“Too Much of Not Enough”), Grouper (“Simple Things”).
Non mancano episodi più immediati e pop, memori della “‘vita precedente’ della Dougall, come “A New Illusion” e “First Sign”, ma sono poco più che parentesi all’interno di un lavoro più complesso, intrigante, armonioso e molto femminile. Di un disco, in breve, tra i migliori usciti nel 2019.