Nuovo viaggio per i Black Mountain di Stephen McBean che dopo “IV” tornano a solcare le psichedeliche strade ambientando l’album in quella Los Angeles che McBean conosce molto bene, visto che ci vive ormai da nove anni e negli ultimi due l’ha girata in lungo e in largo dopo aver preso la patente una volta scoccate le quarantotto primavere. “Destroyer” è un omaggio alla città californiana e a una storica quattro ruote, la Dodge Destroyer del 1985, che animava le infinite lotte tra fan dell’hardcore e metallari di fine anni ottanta.
Joshua Wells e Amber Webber hanno purtroppo lasciato le fila del collettivo canadese, sostituiti degnamente da Rachel Fannan (Sleepy Sun) e Adam Bulgasem (Dommengang & Soft Kill). Da segnalare anche la conferma del bassista Arjan Miranda e il contributo fondamentale dei batteristi Kliph Scurlock (ex The Flaming Lips), Kid Millions (Oneida) e del produttore John Congleton. Grazie a loro il suono già potente dei Black Mountain si trasforma in una compatta macchina da guerra.
Fanno benzina, mettono in moto e partono con una “Future Shade” attraversata da lampi di sintetizzatore sapientemente orchestrati da Jeremy Schmidt e incalzata da un riff avvolgente e ruvido, un usato garantito che lascia poco spazio all’immaginazione. Diventano ancora più aggressivi in “Horns Arising”, sei fiammeggianti minuti con un cantato super effettato che sfumano brevemente in una parte acustica e terminano con una chitarra dal feedback infinito.
“Closer To The Edge”, uno spoken word in bilico su poche minimali note di sintetizzatore, cresce e vibra fino a sfociare nel bel rock psichedelico di “High Rise”: altri sei minuti sfrenati e potenti, come mettere la testa fuori dal finestrino della Dodge lanciata a tutta velocità . “Pretty Little Lazies” è un trip psichedelico orchestrale incattivito, prende velocità e spiana la strada all’energia bruciante di “Boogie Lover” e “Licensed To Drive” (omaggio ai Judas Priest e a John Carpenter) e all’elettricità malinconica della conclusiva “FD 72” che cita Bowie lasciando col fiato sospeso e il serbatoio in riserva.
C’è un’attenzione minuziosa (quasi maniacale) ai dettagli e alla costruzione delle canzoni in “Destroyer”. Sono cambiate le dinamiche all’interno dell’armata canadese, l’assenza della Webber e di Wells è pesante ma ben metabolizzata. La folle corsa losangelina dei Black Mountain mette in mostra il lato hard rock di una band che dopo tanti anni di onorata carriera sentiva probabilmente il bisogno di provare qualche brivido in più.
Credit Foto: Olivia Jaffe