di Fabio Campetti

Scrivevo giusto una decina di giorni fa in merito al concerto dei Get Up Kids, di quanto fossero stati importanti e seminali in materia, in quel caso, parlavamo di emo rock, ora mi devo ripetere con i Built To Spill, uno dei progetti più influenti dell’indie-rock made in U.S.A., chitarre e melodie in quantità  industriale.

Già  attivi dai primi anni novanta, per quanto mi riguarda sono qualcosa di gigante, da annoverare tra i libri di scuola, in grado, insieme a tanti altri, di creare un vero e proprio suono, assolutamente riconoscibile, un marchio di fabbrica. Una discografia lunga e di altissima qualità  che vede la sua punta dell’iceberg, anche commercialmente parlando, nel 1999 con il loro album più pop, “Keep it like a secret”, un capolavoro senza se e senza ma, di cui, quest’anno, ricorre il ventennale e che quindi era doveroso riportare in giro per farlo riscoprire, riascoltare o semplicemente per rendere omaggio ad uno di quei dischi, per cui non si finisce mai abbastanza di tessere le lodi, il classico lavoro dove non c’è una canzone brutta e la frase “vabbè questa la skippo” non può essere presa neanche in considerazione. Anzi con un disco così mi sarei aspettato un successo di larghe proporzioni, invece parliamo dei Built to Spill, come sempre, di un progetto di nicchia, che ancora troppo pochi conoscono, anche se, nel suo piccolo, è stato bello vedere un paio di cambi di location per le continue richieste di biglietti fino ad approdare in Santeria.

Quindi stasera, in questa primavera più autunnale che estiva, ci sono vecchi e nuovi fan accorsi ad ascoltare qualcosa di davvero importante e di storico. Ovviamente la setlist pone le fondamenta sul disco festeggiato, senza seguirne la tracklist originale, al contrario cambiandola spesso, come hanno dimostrato le prime date fatte finora di questo tour europeo che porterà  la band di Doug Martsch anche al Primavera sound tra qualche giorno. Quindi “Time Trap”, “The Plan”, la stupenda “Broken Chair” (prima della pausa), “Else”, l’inno “You were right” “Centre of the universe” “Carry the zero”, in ordine sparso, una dietro l’altra.

Nei bis c’è spazio anche per una cover dei Rem abitualmente in scaletta “Harborcoat” e divagazioni tipo “Strange” o la dilatatissima “Randy described eternity” da “Perfect from now on” che chiude un’ora e venti di pura storia della musica, senza se, senza ma.

P.S. In apertura i brasiliani ORUA, al cui interno un paio di turnisti al servizio dei Built to Spill