Negli anni ’80 i Red Hot Chili Peppers erano stati, senza timore di smentita, degli innovatori, tra i primi a innescare quel genere ibrido di rock, rap e funky, comunemente abbreviato poi in crossover.
Estremi, iconolasti e provocatori, sin dal look, erano debitori del sound sporco e geniale del loro chitarrista Hillel Slovak. La sua improvvisa e precoce morte nel 1988 diede il là a una prima svolta stilistica nella band, comunque ottimamente rappresentata anche dalla “mente” Anthony Keadis e dalla potente sezione ritmica, con il batterista Chad Smith e il furetto Flea, fuoriclasse al basso.
Il giovane e timido John Frusciante fu determinante quanto il suo precedessore nella costruzione di quello che sarà , nel 1991, l’allora best seller del gruppo: “Blood Sugar Sex Magic”, disco epocale, manifesto del rock alternativo che saprà imporsi al pari di altri epigoni ““ ma dettandone in qualche modo il mood ““ in quel decennio rumoroso, fatto di chitarre che ancora sapevano muovere l’animo degli adolescenti.
Sul più bello la storia pareva ripetersi, con Frusciante dimissionario dal gruppo l’anno successivo e la concreta possibilità , per fortuna poi non materializzatosi, che potesse fare l’identica brutta fine di Slovak. I peperoncini piccanti, ormai sulla cresta dell’onda, non poterono certo fermarsi e ingaggiarono l’esperto Dave Navarro dei Jane’s Addiction ma egli non poteva che essere più distante dal mondo di Frusciante. A conti fatti, più che i risultati (modesti per una band come i RHCP) di “One Hot Minute”, album votato a un’ oscura psichedelia, fu proprio il feeling a non scattare tra il chitarrista e gli altri tre membri storici.
Frusciante, ormai ristabilitosi dopo la riabilitazione in clinica, fu invitato caldamente dagli ex compagni a riunirsi al gruppo; in fondo, non aspettava altro, ma ora anche la sua percezione era mutata, e un nuovo spirito si sarebbe riversato in quelle canzoni ancora embrionali che aveva iniziato a scrivere col sodale Kiedis, al solito perso tra i suoi “deliri” di coscienza, tra storie di droga, disperazione e riscatto, non disdegnando però l’ironia. Di più: stavolta i 4 avrebbero voluto descrivere la loro California, non per forza quella tutta “sole” e “feste” (anzi, un brano come “Emit Remmus” quasi ne ribalta il significato, tanto che letto al contrario è “Summer Time”), non quella di Beverly Hills e Hollywood per intenderci, ma lo volevano fare, più che per nozioni o storie, trasmettendo all’ascoltatore quell’ebbrezza, quella “specificità ” di vivere proprio in quello Stato, da sempre Mecca degli americani e non solo.
Il risultato – con la produzione del fidato Rick Rubin, per la terza volta consecutiva al loro fianco – fu straordinario e l’alchimia raggiunta in studio, difficilmente replicabile: infatti in futuro si ricorse alla “formuletta”, estremizzando (e banalizzando) quelle soluzioni sonoro/melodiche che in “Californication” sono invece vincenti, genuine, finanche clamorose.
Pensiamo all’insolito singolo “Scar Tissue”, con quell’andatura irresistibile, mesta e rassicurante al tempo stesso, e i nostri 4 in versione on the road (nel famosissimo relativo video), per una volta lontani dall’immagine dei “fighi” tatuati e palestrati a cui c’avevano abituati (poi si rifaranno nel video della title-track!). Cadenzata e con una chitarra slide da brividi, “Scar Tissue” mostrò le carte in tavola sul fatto che il disco avrebbe forse ripreso le coordinate di un lavoro di successo come fu “Blood, Sugar, Sex, Magik”, la cui fortuna commerciale si poggiò tantissimo sul super singolo “Under the Bridge”, forse la prima ballata vera e propria della band.
Ma quelli erano come detto i tempi del rock alternativo a stelle e strisce pronto a conquistare il mondo, gli scenari nel 1999 erano invece diametralmente cambiati. E non appare sbagliato, 20 anni dopo, affermare che furono proprio i RHCP con “Californication” a dare un ultimo, tonante, colpo di coda al rock, sul finire del millennio.
Un album questo senza punti deboli, dove il furore giovanile del funk e del crossover viene tirato e aggiustato con più consapevolezza, ma senza perdere la sua naturale inclinazione: pensiamo a un episodio come “Get on Top” o all’iniziale “Around the World”, che poi si apre su un ritornello melodicissimo. E’ proprio la melodia la chiave di tutto, aiutata non solo dalla versatile voce di un Kiedis in stato di grazia, ma anche dalle virtuose note di Frusciante, genio della chitarra abile a ricamare irresistibili trame (come in “Easily”) o a duettare magnificamente con il basso fluttante, ora scatenato, ora sinuoso, di Flea (pensiamo agli intrecci e ai loro dialoghi che caratterizzano due tra i migliori brani del disco, ma direi di tutta la loro carriera: “Otherside” e la già citata “Californication”).
E’ un disco dalle tante anime, ancora rock e tormentato (apice raggiunto in “Parallel Universe”) ma capace altresì di tenere a bada i fantasmi del passato, con più di uno sguardo fiducioso al futuro. Il gruppo dimostrerà la capacità di accendersi a maggiore ragione dal vivo, in concerto, dove l’unione e la compattezza del quartetto si rivelerà vera forza e valore aggiunto, e saprà anche regalare dei momenti di autentica dolcezza e malinconia (come nella acustiche e suggestive “Porcelain” e “Road Trippin'”).
Con i suoi 15 milioni di copie vendute in tutto il mondo, “Californication” diverrà il più grande successo commerciale dei Red Hot Chili Peppers, lanciando il nome della band nel pieno mainstream. Nulla per loro sarà più come prima, tanto che già il successivo “By the Way”, pur quasi eguagliandolo sul piano delle vendite, mostrerà un calo di ispirazione e l’accentuarsi di certe soluzioni soft e melodiche che in “Californication” invece si amalgamano perfettamente con le istanze primordiali e le radici del gruppo.
Red Hot Chili Peppers – Californication
Data di pubblicazione: 8 Giugno 1999
Tracce: 15
Lunghezza: 56:17
Etichetta: Warner Bros. Records
Produttore: Rick Rubin
Tracklist:
Around the World
Parallel Universe
Scar Tissue
Otherside
Get on Top
Californication
Easily
Porcelain
Emit Remmus
I Like Dirt
This Velvet Glove
Savior
Purple Stain
Right on Time
Road Trippin’