Qualcuno dovrebbe fare un docu – film sulla vita di Peter Perrett, frontman dei The Only Ones. Gruppo capace di pubblicare tre album in due anni tra il 1978 e il 1980 (“The Only Ones”, “Even Serpents Shine”, “Baby’s Got a Gun”) veleggiando con grinta tra le ultime vestigia del punk inglese, post punk, new wave e il rock più sfrenato. Prima di sciogliersi lasciando ai posteri un nutrito gruppo di belle canzoni (“Another Girl, Another Planet”, “Curtains For You”, “The Big Sleep”, “Flowers Die” sono le prime che vengono in mente) e riunirsi solo dal vivo nel nuovo millennio, suonando anche nuovo materiale rimasto purtroppo discograficamente inedito.
I The Only Ones col tempo sono diventati una band di culto, anche grazie alle numerose raccolte, ai live, a greatest hits e ristampe che hanno permesso a musicisti di ogni età di scoprirli (tra gli estimatori più noti ricordiamo Tim Wheeler degli Ash, i The Replacements, Pete Doherty, Yo La Tengo, il compianto Rowland S. Howard dei The Birthday Party, persino i Blink 182). Perrett intanto si perdeva nell’inferno chimico della dipendenza da crack e eroina che lo avrebbe costretto a un lungo periodo di inattività .
“How The West Was Won” uscito nel 2017 è stato un ritorno da solista inaspettato e felice, ancora più sorprendente è ritrovare Perrett in buona forma tra le note di “Humanworld”. Un viaggio a denti stretti nel rock anni sessanta ““ settanta tra grinta e melodia. Atmosfere che ricordano Lou Reed e i Velvet Underground (“Heavenly Day”, “Love Comes On Silent Feet” e la deliziosa “Walking In Berlin”) convivono senza troppi problemi con l’anima più ruvida e rumorosa di Perrett, le tastiere di “I Want Your Dreams” e le grintose chitarre di “Once Is Enough” e “48 Crash” suonate senza sforzo apparente.
Il Peter Perrett che ritroviamo in “Humanworld” è un veterano di mille battaglie, capace di passare in un attimo dall’ottimismo orchestrale di “The Power Is In You” al sarcasmo beffardo di “Believe In Nothing” al rock apocalittico di “War Plan Red”, dal dinamismo di “Love’s Inferno” alla distorsione di “Master Of Destruction”. Chiude questa nuova avventura solista nel modo migliore con la luce soffusa di “Carousel” brano dolce sincero e onesto. La prodezza del giocatore esperto che sa dosare influenze diverse in un disco non certo innovativo ma arguto e elegante.
Credit foto: Steve Gullick