Ci sono artisti a cui leghiamo dei ricordi, come fossero essi stessi delle Madeleine de Proust: solo il nome, ci evoca momenti del passato, e sensazioni vissute anche molto tempo addietro.
Questo è accaduto con i Violent Femmes, perchè ad ascoltare il loro ultimo “Last Hotel Resort”, sapevo esattamente cosa volevo, ma non potevo sapere a cosa andassi incontro: sapevo con sicurezza che non avrei probabilmente gradito particolari avventure sonore e stilistiche, particolari sperimentazioni, avanguardismo, o altre boiate simili in cui band e musicanti vari si addentrano spesso addirittura inficiando il buono che avevano fatto nei loro passaggi precedenti.
Li avrei voluti, e mi sarebbe bastato, sentirli invecchiare bene, con dignità , con naturalezza ma anche con entusiasmo e voglia di fare. Senza snaturarsi, e senza rinnegarsi.
Ma tempo di premere play, ed ecco la Madeleine: poche note, e sono riapparse le sensazioni dei primi ascolti del loro album d’esordio o di “Hallowed Ground”. Che hanno sul groppone qualcosa come 35 anni, mica seghe.
Chè poi, sono tempi dove anche le operazioni nostalgia vanno di moda, eccome: ma quando senti quest’istintività , questa semplice spontaneità , senza forzature, senza ricercatezze particolari, allora davvero eventuali dubbi sui perchè li puoi mettere tranquillamente da parte, e concentrarti sul contenuto. Sull’approccio, sulle canzoni, sull’organicità del lavoro tutto.
E nemmeno avevo in mente di trovare una nuova “Blister in The Sun” o una “Gone Daddy Gone” (anche se la title track, “Hotel Last Resort”, che vede nientepopodimeno che Tom Verlaine alla chitarra elettrica ed al microfono, se non è a quei livelli, è appena sotto, mentre si rivede la vecchia “I’m Nothing”, che ha anch’essa un quarto di secolo sulla carta d’identità ), ma l’incedere sciatto, eccentrico, ironico, da busker quali erano agli esordi, quello sì, l’avrei gradito: e questo mi hanno dato. Magari, come è normale – e giusto- che sia, non più a cantare la rabbia anticonformista post-adolescenziale, ma che il DNA fosse almeno lo stesso, non infettato: e questo ho ritrovato.
Gano, Ritchie e compagnia, sono vivi: certo, la potenza creativa e muscolare non può essere quella degli esordi. Ma il sangue scorre ancora, cuore e cervello pulsano a dovere, e l’anima è quella di un tempo. Balzana, bislacca, pungente, ma coerente a se stessa.
E alla fine dei conti, va bene così.