Prima o poi doveva succedere, era scritto nella carne putrida e nelle carcasse di un ratto in decomposizione che sarebbero passati a far metal, ma mai mi sarei aspettato in questo modo.
Parliamo di questo “Infest the Rats Nest”, nuova fatica di quei pazzi dei King Gizzard. Che dire? E’ una bomba. Ma partiamo dalle fondamenta, cercando di capire perchè questo è un grande album. Allora, immaginatevi Slayer, Metallica, Anthrax e tutta la scena thrash anni ottanta (in particolare quella tedesca), uniti ad un garage alla “oh sees maniera” con una spolverata di blues e un cantato (ovviamente) alla James Hetfield ed ecco servito il capolavoro. Vedetelo come un tributo a quel genere musicale, ma se doveva essere un tributo beh, l’importante è che uscisse bene e che emergesse l’amore sincerto per quei suoni e questo troviamo. Filtrato però dall’indole King Gizzard, che non manca.
“Mars for the Rich” racchiude in sè un po’ l’ottica esatta dell’album, ma è anche ottimo punto di passaggio tra il disco precedente e questo nuovo lavoro: un po’ blues e metal (cosa che a dire il vero facevamno pure i Pantera) che sprigiona un mix davvero figo, ma impossibile non citare anche pezzi come “Organ Farmer”, corto e schizzato, con assolone iniziale e via di tributo a “Kill ‘Em All” e la lenta e cadenzata, in zona doom/blues, “Superbug”, che rendono l’album vario e con le doverose aperture sul genere. Scorrendo nella tracklist troviamo l’incendiaria “Venusian 1”, ma soprattutto l’ incredibile “Hell” (che chiude il tutto) che rendono il tutto assolutamente meritevole di applausi e lodi. Lo spirito è quello giusto, un tributo, un omaggio fatto da dio. Poco da fare.
Per quanto rigurda la registrazione, beh, non è affatto “pettinata” come molte produzioni metal odierne (esempio lampante il secondo disco dei Rings Of Saturn, bello ma estremamente plasticoso), il che è un pregio, perchè riesce proprio a racchiudere e ritrovare il suono che esaltava questo genere ai tempi d’oro. Che poi sia anche un arma a doppio taglio, perchè alcune linee strumentali non vengono fuori quando dovrebbero, penso sia una cosa assolutamente consapevole e calibrata.
Infine direi di parlare del tema dell’album, molto particolare, che affronta il mondo dello spazio e dell’ignoto, già affrontato in tante salse, sopratutto nel metal (solitamente il genere guarda con affetto a Lovercraft), ma in questo caso reso interessante da un possibile futuro: certo non crediamo ci sarà il commercio di carne umana e superinsetti, ma la vita su Marte, il cambiamento climato e la desertificazione del pianeta sono temi estremamente attuali e non così lontani.
Poco da fare, questa band può permettersi di fare tutto quello che vuole se i risultati arrivano a livelli così alti.