di Fabio Campetti
La sensazione che Pete Doherty (lui ultimamente si fa chiamare Peter, ma noi continuiamo a usare il classico Pete, ci perdoni…) abbia buttato al vento una carriera da vera rockstar e da numeri stratosferici, quello che di fatto poteva raccogliere lo scettro vacante degli Oasis, tanto per estremizzare il concetto, ci sta tutta; si è preoccupato più della vita da poeta maledetto, usi ed abusi, dipendenze, risse, le probabili camere d’albergo sfasciate, per non dimenticare l’agonizzante storia da copertine glamour con Kate Moss, non si è fatto mancare nulla. Diciamo che la musica è sempre stata un contorno, sebbene ad inizio anni zero i Libertines fossero la concreta risposta british al dilagante successo mondiale degli Strokes, oltre che una ventata d’aria fresca per il brit rock; pur non fermandosi mai con cambi di formazione e progetti nuovi (vedi i dischi a nome Babyshambles e i vari progetti solisti), ha dimostrato in realtà di saper scrivere davvero le famigerate pop songs e anche l’ultimo album uscito ad inizio anno con l’ennesimo nuovo moniker Peter Doherty and the Puta Madres ne è la conferma. A questo punto più che snobbato dal grande pubblico per non parlare dalla critica, che, di fatto, lo ignora, si ritrova a girovagare per l’Europa con un nuovo tour, già passato da noi in estate. Una setlist che si basa ovviamente sulle nuove composizioni, ma che pesca anche dal repertorio di quasi vent’anni ufficiali di discografia. Ascoltandole tutte insieme, una sorta di ipotetico best of, la sensazione è ancora più forte su quanto detto sopra. Le canzoni sono inni punk pop per generazioni trasversali, che funzionano sempre.
Parallelamente a questo tour, sta portando avanti anche, se non sbaglio, la terza rèunion dei Libertines con l’amico / nemico Carl Barat che invaderà l’Inghilterra a dicembre per una serie di spettacoli, l’entusiasmo non manca.
Venendo a noi, orari annunciati e rispettati a dovere, ore 22,20 Puta Madres sul palco in un Magazzini Generali di Milano piuttosto pieno di fan felici e contenti di pagare il tributo più che volentieri.
Per quanto riguarda il concerto di questa sera, trattasi di una sorta di farsa a metà strada tra le prove del sabato pomeriggio all”‘oratorio e un cazzeggio totalmente sconclusionato, il tutto condito da fortunati momenti di lucidità dove la voce e il talento di Pete vengono fuori e sono ancora gli stessi che lo hanno fatto diventare, che lo si voglia o meno, un’icona da ricordare sui libri di scuola, saranno rari, vista la reputazione, ma ci sono stati anche nel live di oggi, sorvoliamo sullo stato generale del nostro ex eroe alquanto discutibile, quantomeno da l’impressione di divertirsi ed essere a suo agio; setlist che pesca parecchi brani dall’ottimo ultimo album, ma anche una “Time for heroes” dei Libertines eseguita con la chitarra acustica, con il bassista talmente incupito da sedersi in disparte, rinunciando, di fatto, di suonare il brano, una “Arcady” dal suo disco solista “Grace/Wastelands”, più o meno in un simile contesto, e una più che dignitosa “Fuck Forever” (la punta dell’iceberg) a chiudere un concerto, come detto sopra a proposito della sua storia con Kate, agonizzante, dove regna il caos e l’improvvisazione amatoriale.
Esiste ancora il detto si ride per non piangere?