I Boris non sembrano conoscere vie di mezzo: o ci accarezzano con suoni morbidi e levigati, o ci devastano con la potenza di un bulldozer dal passo lento ma inesorabile. Il loro venticinquesimo lavoro in studio, intitolato “LφVE & EVφL”, fa un po’ tutte e due le cose. Nell’album di esordio per la Third Man Records di Jack White, il trio giapponese gioca e sperimenta con gli estremi di un sound compatto ma mutevole, soggetto ai cambiamenti di umore dei suoi autori.
Nelle mani di Takeshi, Wata e Atsuo, persino un genere musicale tradizionalmente granitico come il doom metal si fa volubile. Le note seguono il variare degli stati d’animo, dando vita a una raccolta di brani davvero molto densi, ricchi di idee e dal respiro jammistico. Lo dimostrano i sedici minuti e mezzo di “EVOL”, un pezzo così lungo da riuscire a contenere dentro di sè mondi sonori apparentemente inconciliabili tra loro: negli intervalli tra momenti di pura quiete e rumore assordante, si viene travolti da assalti di percussioni tribali e feedback sfrigolanti.
Il potenziale “dronico” della sei corde e dell’effettistica viene sfruttato a dovere in “Coma” e “uzume”, in cui il fragore del noise più spoglio e genuino si scontra con atmosfere ambient tanto suggestive quanto difficili da digerire. La complessità è insita nel DNA dei Boris, non è certo una novità . In “LφVE & EVφL” viene però gestita con attenzione, in modo tale da non infastidire o spaventare i neofiti.
è come se questo disco fosse rivolto proprio a loro: un riassunto ideale per conoscere una carriera iniziata un quarto di secolo fa, caratterizzato da frangenti di straordinaria dolcezza (“Away From You”, “In the Pain(t)”) e di brutale lentezza (la psichedelica “LOVE”, la solenne “Shadow of Skull”). Le distorsioni sono sature e potenti come non mai, il tempo sembra seguire l’andamento flemmatico di un bradipo ma le melodie ci sono sempre ““ a volte in primo piano, a volte deformate, altre volte ancora nascoste tra le pieghe del pandemonio generale. Miracolo? No, semplicemente classe.