di Koc
Chi scrive questa recensione è un grande fan di “Terminator”. Il primo film del 1984 è un capolavoro visionario: non per nulla, da qualche anno gli scienziati studiano i pericoli derivanti dallo sviluppo di quell’intelligenza artificiale, che ““ al pari di ‘Skynet ‘”“ potrebbe arrivare prima o poi a prendere decisioni autonome.
“Terminator 2 Judgment Day” era meno fanta-horror e più action movie: e, anche in questo caso, James Cameron è stato pioniere, stavolta degli effetti speciali, con l’ancora oggi insuperato T-1000 di metallo liquido.
Il franchise è poi continuato con il tremendo terzo episodio, ricordabile solamente per la bellissima Kristanna Loken. Il quarto “Terminator” è stato “Salvation”: bistrattato da critica e fan, fu in realtà un’ottima pellicola, coerente con la linea narrativa di questa pietra miliare della science fiction. Ricordo che “Genisys”, il quinto film, mi fece uscire arrabbiatissimo dal cinema: i primi venti meravigliosi minuti furono seguiti da una accozzaglia di spara spara, banalità e incoerenze fino alla fine dell’episodio.
Anche stavolta, e per l’ennesima volta, sono entrato a vedere “Terminator” con aspettative alte. D’altronde, nell’occasione avevamo il ritorno sia di Cameron (come produttore) che di Linda Hamilton. Che dire? Dark Fate è un ottimo film, un sequel coerente dei primi due lungometraggi, anche se per noi fan è difficile scordare cosa c’è stato in mezzo, e non solamente per la delusione. Bene la sceneggiatura, bravi gli attori, ottimo Tim Miller alla regia, tantissima azione, effetti spettacolari. A proposito, all’inizio del film si vedono i protagonisti di “Judgment Day” così com’erano vent’anni fa, in nuove scene: il deepfaking dei volti è qualcosa che toglie il fiato da tanto è realistico. Fa davvero pensare che tra pochi anni si potranno rendere eterni gli attori, permettendo loro di recitare anche da morti.
Eppure, c’è un ma. Come ho scritto sopra, i primi due “Terminator” erano troppo avanti e ciò che si vede in “Dark Fate”, a volte sa di deja vu: Grace (Mackenzie Davis) è una umana potenziata, venuta dal futuro per difendere la nuova futura paladina dell’umanità ; ok, ma anche Marcus Wright (interpretato da Sam Worthington in “Salvation”) lo era. Cameron vuole che dimentichiamo gli episodi dopo il secondo; ma noi non possiamo: li abbiamo visti e ““ al contrario dei suoi eroi ““ ci è precluso viaggiare nel passato. Anche per quanto riguarda la macchina-villain, e cioè il terribile REV-9 (Gabriel Luna), non c’è sorpresa. E, nel caso specifico, è “colpa” dello stesso Cameron, perchè il T-1000 di “Judgment Day”, a ventotto anni di distanza, resta comunque il cyborg più letale. Al contrario, stavolta gli sceneggiatori hanno evitato di coprire Arnold Schwarzenegger di ridicolo: il T-800 ridotto a macchietta negli episodi 3 e 5, oggi è un robot che ha sviluppato una propria personalità ed autonomia (come successe a ‘Skynet’, del resto) e che va umilmente a supportare il cast dei buoni tutto femminile in onore del #metoo.
Sempre sull’onda del politicallycorrect è da citare anche l’ambientazione a cavallo del confine Texas-Messico, in ricordo delle disgrazie dei migranti, che qui però sono semplici comparse: per loro non paiono esserci nè speranza, nè redenzione. Una menzione speciale, infine, per Linda Hamilton: in un film troppo orientato all’azione e poco all’analisi delle pieghe del futuro, l’interprete di Sarah Connor viene un po’ compressa all’interno della trama, ma per chi come me l’ha vista per la prima volta nel 1984, è meraviglioso vedere come questa splendida donna si sia mantenuta bella e vitale, pur senza mai varcare la porta del chirurgo plastico. E’ anziana, ma tra le sue rughe si vedono la vita vera e trentacinque anni di grandi ricordi.