Avevamo lasciato gli svedesi Misery Loves Co. fermi al 2000, anno in cui venne pubblicato l’album “Your Vision Was Never Mine To Share”. Un lavoro solido ma decisamente accessibile, soprattutto se messo in confronto al granitico esordio datato 1995 – che, almeno per quanto mi riguarda, resta quanto di meglio abbia mai fatto il trio capeggiato dal cantante Patrik Wirèn.
Ritrovare lui e i suoi sodali (i chitarristi à–rjan à–rnkloo e Michael Hahne) a distanza di così tanto tempo farà sicuramente piacere ai fan più appassionati della mitica e irripetibile stagione dell’industrial metal di fine anni ’90, periodo in cui non era difficile beccare i videoclip di band del calibro di Nine Inch Nails e Ministry su Videomusic.
Con i dieci brani contenuti in questa quarta fatica in studio intitolata “Zero” ““ nome azzeccatissimo per un simile reboot ““ i Misery Loves Co. non puntano a conquistare nuovi seguaci, ma a fare scendere una lacrimuccia di nostalgia lungo le guance di chi era già abbastanza grandicello da ricordarseli nella loro vita precedente.
Il gruppo di Uppsala riparte esattamente dal punto dove tutto si era precocemente interrotto, ovvero proponendoci un alternative rock dark, melodico, “industriale” e leggermente elettronico; se fossimo bloccati al 1998 o al 1999, potrei parlare senza problemi di sonorità fortemente radio-friendly. L’elemento metallico, a esclusione della potenza delle chitarre e di un paio di tracce belle pesanti (“A Little Something” e la title track), rimane perlopiù relegato sullo sfondo.
Ed è un vero peccato, perchè questi signori in gioventù pestavano duro che era una bellezza: se non mi credete, andate a recuperare il debutto e ascoltatevi il micidiale terzetto “Kiss Your Boots”, “I Swallow” e “The Only Way”.
E oggi, cosa resta di quelle favolose legnate? Assolutamente niente: i punti di riferimento sono il post-grunge di inizio millennio, i Bush sintetici di “The Science Of Things” e i Filter del fortunato “Title Of Record”, con i mentori Garbage a illuminare la via. La discreta cover di “Only Happy When It Rains” vale più di un semplice indizio: non si esce vivi dagli anni ’90. Consigliato esclusivamente ai nostalgici.
Credit Foto: Annika von Hausswolff