“Please don’t be perfect anymore” incita la frontwoman Isabel Munoz-Newsome in apertura del secondo album della band britannica, scardinando da subito un po’ di certezze. Ma non bisogna lasciarsi influenzare troppo dal titolo: “Devastation” non è uno sfogo cupo e straziante fine a se stesso, ma il punto di rottura del meccanismo, da cui ripartire con nuova energia.
Quando nel 2017 è stata operata per un tumore al collo dell’utero, Isabel ha affrontato la malattia con grinta e coraggio, dopodichè ha raccolto il dolore e ne ha realizzato una battaglia sociale, mettendo la sua disavventura a disposizione della campagna per la prevenzione e mostrando sui social le cicatrici dell’intervento, visibili anche nell’immagine di copertina dell’album.
I temi del cambiamento e della ricostruzione sono al centro dei testi, come “I Can Change” o “Virtue”. E mentre le parole ci sintonizzano sull’onda della consapevolezza, la musica ci accompagna su una pista da ballo d’antan. “Devastation” è un omaggio al brit sound degli anni ’80 e ’90 con venature di pop goth e trip hop, rimarcate dalla voce suadente di Isabel Munoz-Newsome che ricorda spesso e volentieri quella di Beth Gibbons dei Portishead. “Fall Apart” potrebbe essere una citazione di “Firestarter” dei Prodigy mentre “Heaven” non fa mistero del richiamo alla gloriosa “Small Town Boy” dei Bronski Beat. E a voler ben ascoltare e puntualizzare, la rete rete dei riferimenti sarebbe decisamente più lunga, includendo anche incursioni nel grunge. Invece vale la pena spostare l’attenzione su ciò che troviamo di originale in questo lavoro, come la produzione di John Congleton, collaboratore di Saint Vincent e Anna Calvi, e l’ingresso nella band, almeno per questo giro, di Justin Chancellor dei Tool al basso.