Nel Novecento la musica prende direzioni improprie: diventa seriale, dodecafonica, rumorosa, elettrica, elettronica, campionata, modulare, ciclica, ripetitiva. Diventa tutto e il contrario di tutto, protagonista e antagonista di se stessa. Quasi unanime il motivetto «ormai non c’è più niente da dire», ma i Mariposa navigano bene nel già scritto e lo fanno con il solito, ma mai darlo per scontato, carico di qualità di cui si sentiva la mancanza. Proseguono il percorso sulla musica componibile (il genere musicale immaginato dai Mariposa nel loro album del 2005 “Pròffiti Now! Prima Conferenza Sulla Musica Componibile”) e affondano gli strumenti sul liscio e i suoi derivati, danzando nelle sagre su tempi ternari (“Misericordia” e “Nando”) e spiazzando i ballerini con trame più standard (“Licio”) risultando sempre padroni di tutto ciò che esce dagli strumenti (“Golpe galop” e “Parapagal Polka”).
Confonde il titolo, “Liscio Gelli” che rimanda ad un nome drammaticamente più noto, Licio Gelli, anche se non troppo esplorato all’interno delle tracce. Colpisce l’uso magistrale dei fiati da parte di Enrico Gabrielli e gli spunti presi dalla musica popolare ed extraeuropea, come il canto difonico ne “Il lupo”, dove tramite la voce si riescono ad emettere due suoni: uno che fa da base, più basso, e l’altro molto simile ad un fischio.
“Liscio Gelli” si comporta come uno di quegli amici che non vedi da anni, che hanno fatto mille avventure nei posti più strani al mondo, che hanno conosciuto culture diverse, tradizioni insolite e assaggiato cibi unici. A ogni storia la bocca si spalanca, con il desiderio recondito che quelle visioni fossero accadute a te, però il giorno dopo, a mente fredda, ti chiedi se gli siano capitate per davvero o siano tutto frutto della sua genialità nel raccontarle.