I Superdownhome sono un duo bresciano formato da Beppe Facchetti ed Enrico Sauda. Le basi del loro sound sono da ricercare nella tradizione rural blues interpretato con un’attitudine raw.
Riceviamo e pubblichiamo con piacere il loro diario di bordo di una trasferta americana che si preannuncia ricca di fascino e suggestioni, non solo muscali…


Gomma

Arriviamo a Memphis giusto in tempo per recuperare i pass e ricevere le istruzioni. Sara Negri – la responsabile dell’accoglienza – si rivela un ottimo aiuto per orientarci nel dedalo dei locali e nella calca. La sera stessa abbiamo il primo show case. L’emozione è tanta ma non si tratta di vera gara quindi il tutto scorre via in modo molto tranquillo. La notte, stanchi, ci ritiriamo a casa per una salutare cena all’italiana annaffiata dal vino di cui ormai – a forza di frequentare supermercati – siamo diventati esperti.
La sera del primo quarto di finale ci rechiamo al ‘Jerry Lee Lewis’, locale dove suoneremo insieme ad altre 7 realtà  provenienti un po’ da tutto il mondo. La situazione tecnica è più adatta ad una situazione “busker” che ad un duo come il nostro ma i recenti tours di apertura ad artisti importanti ci hanno temprato a dovere e non temiamo nulla. Facciamo la nostra esibizione senza pecche mentre Henry recupera pian piano la forma migliore e poi via a festeggiare con gli altri italiani (Black Snake Moan da Roma e i Boogie Bombers da Torino).


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La seconda sera si rivela meglio della prima. Il fonico ci ha preso in simpatia e fa il possibile per poter essere d’aiuto, Rick Booth, super manager di tante bands americane e con cui lavora anche il nostro agente Giancarlo Trenti, ci supporta e incoraggia da par suo e i giudici sembrano nettamente più attenti di quelli della sera precedente. (Alla fine della nostra esibizione due su tre escono a complimentarsi con noi e uno di questi ci lascia un biglietto da visita e ci dice che ci terrebbe ad averci live in Radio a New Orleans – scopriremo poi la radio essere una delle maggiori radio della città  da cui siamo partiti e in cui torneremo – Non potevamo chiudere meglio di così. Usciamo e attendiamo i risultati: stasera passeranno solo la metà  dei concorrenti. Ne approfittiamo per improvvisare una cena comunitaria (con gli altri italiani con i quali devo dire che c’è stata notevole complicità ). Alla fine della serata il responso è che siamo passati al turno successivo (purtroppo i soli della delegazione italiana) e questo va festeggiato (anche se sarebbe stato bello fossimo passati tutti) con l’ennesima bevuta, ormai celebrazione di rito.

Il giorno successivo siamo sempre al Jerry Lee Lewis ma al piano terra, il palco è più grosso e la concorrenza più spietata. Saliamo carichissimi e diamo il meglio che possiamo: gran concerto
Ancora un due/tre ore di attesa per sapere il responso. Questa volta però non passiamo il turno. Pazienza. Abbiamo davvero fatto quello che potevamo. E’ più un problema alla base del format; nella categoria one man acts/duos hanno passato il turno solo chitarristi acustici, forse è un dictat, forse è giusto così, noi – se chiudi gli occhi – non suoniamo come una one-man band o un duo. Ci sarà  modo di rifarsi, chissà ?
La giornata che segue, seppur un po’ tristi per non aver avuto accesso alle finali, ne approfittiamo per fare le classiche santelle che si fanno a Memphis, i Sun Studios, gli studi della Stax Records, a Graceland per visitare il re, tutte mete molto americane ma tutti luoghi di culto che hanno visto passare cose incredibili e l’emozione è tantissima e traspare dagli occhi di tutti.
Alla fine dei nostri cinque giorni rientriamo a New Orleans per riprendere gli overdubs del disco e i mixaggi.


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Purtroppo Henry e Giancarlo ripartiranno dopo un paio di giorni e l’invito a WWOZ lo possiamo sfruttare solo io e Ronnie. Inviteremo ad accompagnarci anche Collins Kirby, promoter del quale ormai siamo diventati amici. L’esperienza radio si rivelerà  uno degli highlights dell’esperienza americana. La location, che da sul Mississippi, è solo una delle cose perfette della trasmissione (che sia chiama “Sittin’ at the Crossroad” con Dennis J. Schaibly, detto Big D – perchè in America tutti hanno un nickname vincente. Parliamo di tutto e mettiamo musica dei Superdownhome e Dennis ci dice quanto sia rimasto impressionato da noi e dal fatto che la sera in cui ha fatto da giudice gli unici acts che l’hanno folgorato siano stati acts non americani. Nei “non americani” ha trovato la passione che gli autoctoni in gara con noi a lui non hanno trasmesso. Ne siamo orgogliosi. Ci trattano come signori, ci regalano un sacco di gadgets e ce ne usciamo su una nuvola di entusiasmo che, per l’ennesima volta dobbiamo sedare con dell’alcol”… d’altronde, come conferma una nostra canzone “booze is my self-control device””… mai come in questo momento.


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A questo punto io e Ronnie decidiamo di passare la successiva giornata nello studio dove stanno mixando le nostre tracce. Le parole non possono spiegare cosa sia la location. Un sito internet può dare qualche idea in più: Dockside Studios (per i più curiosi) situato a Maurice, due ore e mezza da New Orleans. Esperienza meravigliosa e poi Maurice è giusto sulla strada per Austin ed è li che andremo a vedere i North Mississippi Allstars il giorno dopo.
Tanta altra strada, tante miglia e tanti altri panorami da raccogliere su pellicola e che ci torneranno utili quando, prima o poi, faremo uno dei prossimi video.

E’ tempo di rientrare a New Orleans. Da lì ripartiamo per New York e poi l’Italia
God Bless America! E’ stata un’impresa ciclopica e ne siamo usciti segnati ma trasognati.

Foto di Ronnie Amighetti