Aaron Maine, titolare del progetto PORCHES, negli ultimi sette anni si è trasformato in uno dei nomi più quotati e chiacchierati in ambito synth pop e non solo. Musicista dalle cento anime e mille alter ego, partito con un bedroom pop già piuttosto maturo è diventato via via più ambizioso in tre album (“Slow Dance In The Cosmos”, “Pool”, “The House”) che lasciavano intravedere influenze varie e cangianti almeno quanto il colore dei suoi capelli.
“Ricky Music” vede Maine tornare a collaborare con Dev Hynes (Blood Orange) e trovare nuovi sodali in Zsela e nel co – produttore Jacob Portrait. Un album scritto tra dicembre 2017 e la primavera scorsa, registrato tra New York, Chicago e durante l’ultimo tour europeo. Ventisei minuti che Aaron Maine ha descritto come il racconto della “bellezza, confusione, rabbia, gioia e tristezza” sperimentate mentre si sentiva perso pur essendo pazzamente innamorato. Cuore spezzato ma non domo, lo si capisce fin dalle prime note di “Patience” in bilico tra piano e esplosioni elettroniche.
Ci sono pochi dubbi ormai sul fatto che Maine sappia scrivere canzoni pop non lineari ma ben confezionate: il falsetto giusto in “Do U Wanna”, i sintetizzatori orecchiabili di “I Wanna Ride” e quelli oscuri di “Lipstick Song”, il ritmo dance (un po’ prevedibile) di “Madonna” e quello ben più irregolare su cui è costruita “I Can’t Even Think” lo confermano. Costruzioni millimetriche e certosine bilanciate dalla vulnerabilità di “Hair”, “Fuck_3” e “Wrote Some Songs”, prima della bonus track: quella “rangerover” zuccherosa e vivace molto teen movie anni ottanta.
PORCHES continua la sua evoluzione da eroe delle camerette a star in the making, anche grazie al solito Dev Hynes che ci mette lo zampino con suoni e distorsioni ad hoc. Un passo dopo l’altro si avvicina al successo, obiettivo che sembrava vicino in “Pool” e “The House” (superiori a questo “Ricky Music” spiace dirlo) ma tutt’ora possibile per un artista che forse non ha ancora espresso appieno il suo potenziale.