“Bancarotta Morale”, sesto album dei Bologna Violenta, riparte più o meno da quella rivoluzione che fu l’EP “Cortina” nel 2017. Con la scelta di mettere da parte la chitarra elettrica e sostituirla (definitivamente?) con il violino, Nicola Manzan e Alessandro Vagnoni sono riusciti a infondere ancor più originalità a uno stile che già di per sè era estremamente peculiare.
Per molti ascoltatori l’unione tra grindcore, progressive, elementi sinfonici e atmosfere cinematografiche recuperate da film noir, vecchi B-movie e poliziotteschi potrebbe sembrare una bestemmia. Non è da escludere l’ipotesi che i Bologna Violenta, in quindici anni di onorata attività , abbiano sviluppato la loro proposta proprio con questa intenzione: sconvolgere i benpensanti con un crossover dai tratti blasfemi e sacrileghi.
La musica può presentarsi sotto forma di attacco dissacratorio, e questi trentasei minuti completamente strumentali ne sono una brillante dimostrazione. Pur essendo due artisti di enormi competenze tecniche, in “Bancarotta Morale” Manzan e Vagnoni non nascondono quasi mai un’indole strafottente che sembra derivare dal punk. Il trittico che apre l’album ““ “Estetica morale”, “Gli Affari” e “Il Santo” ““ trasmette un’impressione abbastanza chiara della natura del progetto.
è come se il duo, terrorizzato dall’idea di farsi rinchiudere nel recinto della musica di nicchia, buttasse giù le palizzate con una rapidissima alternanza di colpi su rullante e hi-hat. Una raffica di mazzate che brucia alla velocità della luce: in media, le quindici tracce del disco non superano il minuto di durata. Il violentissimo blast beat di Alessandro Vagnoni fa da perfetta cornice ai quadretti melodici e ultra-elaborati del polistrumentista Nicola Manzan, che riesce a regalarci riff e pesanti scariche di metallo utilizzando violino, viola, violoncello, organo, chitarra acustica e armonium.
Sì, i Bologna Violenta sono dei veri e propri maestri del grindcore più sfrontato, barocco e cinematografico. Gli ultimi due brani di “Bancarotta Morale” ci mostrano però anche un’altra faccia del duo: l’inquietudine ambient di “Sophie Unschuldig” e i venti minuti di “Fuga, Consapevolezza, Redenzione”, una suite umorale che si sviluppa come un flusso di coscienza, rappresentano la degna chiusura di un lavoro più che convincente.