Ha radici perugine ma un’appartenenza ormai acclarata alla penisola iberica il cantautore Olden, tornato sulle scene pochi mesi fa con un lavoro che ha tutta l’aria di restare a lungo nella memoria e nel cuore di tutti colori che vi si imbatteranno.
Davide Sellari (questo il suo vero nome), da più di dieci anni ormai risiede a Barcellona e ne ha assorbito le varie influenze, non solo dal punto di vista ambientale ma anche (e soprattutto) da quello culturale. Infatti è nella splendida e multiforme città simbolo della Catalogna che si sono sviluppate e hanno preso piede alcune istanze e tensioni che molto poi si sono riflesse sulla sua poetica, influenzando magari inconsapevolmente le sue esperienze, dopo che le prime le aveva maturate ancora giovanissimo nella sua Terra d’origine.
E’ proprio in Spagna che, per una serie di casi se vogliamo fortuiti, entra in contatto con un certo tipo di musica, legata a spunti anarchici, che contribuiranno a fortificare la sua indole e la sua coscienza sociale. Inizia così un periodo di consapevolezza, di studio e di ricerca, che Olden va a declinare nei suoi dischi – che da una pulsione primordiale all’insegna di un genuino rock, emigrano verso una matrice più cantautorale – fino a giungere due anni fa a un album davvero molto interessante, di recupero appunto delle tradizioni. Quel disco si chiamava “A60” e vedeva il Nostro disimpegnarsi con canzoni molto particolari di quel periodo folgorante che furono gli anni ’60. Entra nella ristretta cerchia dei finalisti della Targa Tenco per il miglior album di interprete e anche se non si aggiudicherà il prestigioso premio, avrà comunque modo di farsi pienamente apprezzare.
Ammetto che ero tra coloro che lo attendevano al varco, immaginandone un’ulteriore crescita, una messa a fuoco ancora maggiore della sua forma musicale e autoriale. E dopo l’ascolto attento di “Prima che sia tardi” posso ben sbilanciarmi nel dire che questo di Olden è indubbiamente uno dei migliori album dell’anno, senza se e senza me, forte ancora una volta dell’ottima produzione di Flavio Ferri (noto con i Delta V) col quale ormai forma un binomio perfetto.
E’ un disco in cui è riuscito a mettere in musica una storia, dai toni anche sinistri ma che ben rappresentano quelle paure che possono insorgere nei ragazzi della sua generazione, alle prese con una società che rischia di assoggettarsi a uomini potenti che pare abbiano smarrito valori fondamentali quali l’empatia, la solidarietà e l’uguaglianza.
Quello che Olden ci presenta è realmente un racconto distopico, dove il Nostro immagina un mondo dominato da mostri – l’Oca Nera raffigurata in copertina – allineati al Partito del Grande Cuore, che invero bramano per divorare gli esseri umani, per annientarli letteralmente dopo aver instaurato una autentica dittatura. Una società quella che si prefigura all’inizio del disco in cui prende forma in tutto il suo orrore l’ideologia razzista e xenofoba più becera. Non è assolutamente fuorviante definire “Prima che sia tardi” un concept album, perchè si tratta di un lavoro da seguire dall’inizio alla fine, dove ogni brano è collegato e tutti insieme ci svelano il susseguirsi dei fatti e delle emozioni dei protagonisti.
A farne le spese in questo terribile mondo evocato, sono gli stranieri e i diversi, costretti nella migliore delle ipotesi a fuggire rischiando sulla propria pelle, altrimenti ad attenderli ci sarebbero i Quartieri di Lavoro, in realtà abominevoli prigioni dove staranno rinchiusi. Vi ricorda qualcosa questo scenario?
Attraverso le dieci canzoni (l’album comprende anche un’ottima bonus track, il recupero di “Fiume amaro”, già presente nel precedente album di cover e qui cantata in duetto con Umberto Maria Giardini, un’anima a lui affine) seguiamo trepidanti le vicende di Zahira e di un giovane che la scruta nei momenti più concitati della presa al potere (episodio narrato nella seconda traccia “Il giorno della gloria”) e se la prende a cuore, fino ad innamorarsene. Lei riesce ad andarsene lontana ma infine verrà catturata: sarà proprio un intervento salvifico dello stesso ragazzo a renderla libera di nuovo, stavolta per sempre. I due si dividono solo fisicamente ma rimangono vicini come non mai grazie alla forza dei sentimenti. L’amore è una spinta inesauribile, non solo fatto di sentimenti verso una persona, ma anche rivolto all’individuo singolo, che unito va a formare l’umanità intera. E sarà l’amore infine per la libertà e per la giustizia a trainare i fautori della Resistenza che, dopo un estenuante assedio, riusciranno a rivoltare il Regime con il Primissimo (il Dittatore) ridotto ormai a un essere ridicolo e insignificante.
Un album che, se dal punto di vista letterario raggiunge vette altissime, è corroborato pure da un afflato musicale di prim’ordine, dove la canzone d’autore viene omaggiata nel migliore dei modi, con soluzioni al contempo personali e riuscite. Essendo un concept album tutte le tracce rivestono la loro importanza all’interno della scaletta ma sono proprio quei momenti topici del racconto ad essere resi magnificamente. Ecco quindi che brillano di luce propria soprattutto canzoni come l’intensa “Aquilone” (scelto fra l’altro come singolo di lancio), dove il Regime tocca il suo apice ma di contro soffiano i primi venti di ribellione; le dolci e struggenti ballate “Mare tranquillo” e “Non tu, noi”; e quella che infine simboleggia la resa dell’Oca Nera, vale a dire la toccante “Il clown”, con il popolo che finalmente può guardare negli occhi il suo nemico, ormai inerme, e riprendere in mano la propria vita e riscrivere il futuro.
Olden è riuscito a sfornare un capolavoro dei nostri tempi, un’opera rilevante nell’attuale panorama della musica italiana che meriterebbe, non dico di rinverdire i fasti dei grandi cantautori di un tempo (quando anche album “di contenuti” finivano alti in classifica), ma almeno di ottenere riconoscimenti in quegli ambiti e in quelle rassegne che ancora si dedicano a valorizzare la canzone d’autore.
Foto credit: Flavio Ferri