Parte “Luoghi sacri” e ti senti immerso in un trip che accompagna fino alle porte di Caronte, mentre dallo Stige pandemico riemergono ricordi di abbracci passati e baci sudati, che si aggrappano alla chiglia della memoria e danno la misura di tutto ciò che hai perso, nel tuo viaggio verso gli Inferi.

Nel suo nuovo singolo, Svevo Susa parla di occasioni perse tra cuori in eterno ritardo sugli orari, mentre l’ormai sbiadita immagine di un palco pieno di luci fa da sfondo al magma catartico di “Luoghi Sacri”, brano a cavallo di suggestioni diverse e stroboscopiche utili a disegnare ancor di più la paronoia sommessa di un testo ben scritto, e ben cantato: sonorità  techno sfilano a braccetto con slanci pop che ricordano il Battiato dei primi Ottanta, mentre nei suoi passaggi intermedi Svevo Susa dimostra di avere conoscenza della canzone italiana dei primi anni Sessanta.

L’amore tormentato, gli attimi fuggenti e le sliding doors dell’esistenza passano però in secondo piano di fronte alla sacralità  del luogo descritto: il vero protagonista del brano sembra infatti essere il Concerto – inteso quasi come astratta entità  -, evanescente ricordo di vite lontane in quest’estate resa afona dal trauma del virus. Ecco allora che “Luoghi Sacri” ricorda la via della Mecca a tutti i fedeli della musica, innamorati e spersi in un mondo e in un tempo che della musica spesso si dimentica, e che ha bisogno delle preghiere di tutti per ritrovare la voce dei suoi profeti.

 

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23/VI (L’anima tua camminerò scalzo, in punta di piedi, e l’attraverserò piano senza spostare niente, con lo stupore divino del primo uomo che s’è commosso ammirando le stelle)

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