Dietro il moniker Structure si cela l’artista milanese Stefano Giovannardi, che già avevamo conosciuto (e apprezzato) nel progetto Due, in coppia con il cantautore Luca Lezziero.
Se in quel caso però i compiti erano equamente suddivisi, con il Nostro impegnato principalmente nelle strutture musicali di stampo elettronico (suo riconosciuto raggio d’azione), adesso invece lo vediamo sdoppiarsi (…forse addirittura qualcosa di più!) nelle vesti di autore, compositore e cantante. Non solo, visto che Giovannardi per questo progetto ha voluto seguire davvero tutte le fasi di lavorazione, comprendenti quindi, al di là alla scrittura, anche il missaggio, il mastering dei brani e la registrazione, oltre che la cura degli aspetti visivi e concettuali.
Insomma, superata da poco la soglia dei cinquant’anni, trasformatosi in Structure, ha voluto veramente mettersi in gioco, esordendo di fatto da solista, laddove in passato aveva sempre avvallato le collaborazioni, sia come musicista che come produttore, in vari progetti specie di natura elettronica, ma senza disdegnare escursioni nelle diverse arti, come ad esempio la poesia.
“Mindscore” è un album vero e proprio, composto da dieci episodi in cui l’equilibrio tra forma canzone e sperimentazione raggiunge sovente risultati sorprendenti. Sono brani di difficile catalogazione quelli di Structure, che se da un punto di vista narrativo riconducono a tematiche di tipo esistenzialista, con particolare attenzione all’ambiente in cui viviamo e all’azione degli uomini (interessante constatare come l’autore sia riuscito a far confluire in questo disco il suo ambito lavorativo: è scienziato e biologo), da quello musicale spaziano indifferentemente tra atmosfere lunari, cupe, spaziali e squarci di luce.
C’è una gran cura dei suoni (e non potrebbe essere altrimenti, visti i suoi trascorsi) in brani come l’iniziale “Flat” (corredato pure da un video), che può ricordare qualcosa dei Depeche Mode più oscuri, nell’ondivaga “Prison”, in una “The Middle” che, caratterizzata com’è da efficaci e vivaci synth, ci richiama gli anni ottanta, o nell’onirica e vagamente psichedelica “Upmost Order”.
Accennavo però all’equilibrio trovato tra ricerca dei suoni e l’efficacia compositiva, con Giovannardi che dimostra di sapersela cavare anche come autore “pop” (in senso molto lato), quando da’ spazio maggiormente all’aspetto melodico. Accade nella fascinosa “On the Roof”, nell’incalzante “Seven Days” e nella ballata dark “Queen of the Neon Lights”, una delle tracce più riuscite.
E’ un disco molto evocativo il primo di Structure, in cui emergono non solo maestria e una certa urgenza creativa, ma soprattutto il suo estro e la sua personalità , all’insegna di una totale libertà artistica.