Domanda: cosa succede se un gruppo electro-noise cazzuto, tipo gli HEALTH ““ no, no, con più hype, tipo i Crystal Castles, mette alla voce al posto del solito freak o della consueta camionista urlante una cinguettante divetta pop à  la Britney?
La risposta la deve saper bene M.I.A., che ha messo sotto contratto gli artefici di tale formula sotto la sua etichetta, e già  che c’era ne ha anche approfittato campionando la traccia conclusiva dell’album in questione in uno dei migliori brani del tanto discusso “/\/\ /\ Y /\”, la (letteralmente) esplosiva “Meds and Feds”.

Dal canto loro, i due newyorkesi ringraziano e si godono l’inattesa popolarità . Entrambi proveniente da esperienze musicali precedenti ““ lui chitarrista dei Poison The Well, band hardcore di discreto successo, lei voce della girlband Rubyblue – l’incontro tra i due, raccontano i diretti interessati, si ha in un ristorante in cui Derek E. Miller serviva ai tavoli per mandare avanti la baracca; in cerca di una voce femminile, incontra Alexis Krauss, cliente abituale, che accetta la proposta. Il risultato è un disco che suona come un allenamento di cheerleader in un campo minato: ogni esplosione, ogni distorsione è contrastata dal canto femminile, che valorizza la violenza sonora e al contempo la rende più accessibile alle masse.

Esemplare da questo punto di vista è il brano d’apertura, “Tell ‘Em”, manifesto degli ideali del duo, in cui Derek fa esplodere l’usignolo Alexis in 3 minuti di delirio noise-pop. Accattivante non solo tra gli estimatori della distorsione, non lascia grandi dubbi riguardo un futuro exploit commerciale della coppia.
“Infinity Guitars” prosegue placida nel suo graffiante garage lo-fi fino allo scoppio finale; “Run the Heart” e “Rachel”, sincopate distorsioni sintetiche, vedono la voce femminile sussurrare e abbassarsi in una staffetta con le basi, notevoli nella loro semplicità ; la furia rimbombante torna nelle tre tracce successive: la marcia affannosa di “Crown On the Ground”, la delirante “Straight A’s”, in cui lo spirito di Alice Glass si impossessa della povera Alexis, e “A/B Machines”, perla dance dell’album. Con la title-track, che rallenta i ritmi precedenti, si chiude un debutto discreto, non innovativo, non essenziale ma baldanzoso e piacevole quanto basta per meritare un ascolto.