Seguo Napoleone da qualche mese: “Amalfi” – la sua penultima pubblicazione – mi aveva fatto spellare le mani dall’entusiasmo per il mix efficace di tradizione e nuovo mainstream che il cantautore campano era riuscito a creare nella fragile e virtuosa alchimia di un brano sentito, sincero e per questo convincente. Ecco, tocca ripetere oggi l’usata liturgia sopradescritta per “Porta Pacienza”, power-up di quella bella realtà che Napoleone è riuscito ad edificare intorno all’orto di casa sua a colpi di coraggio e ruralità , senza per questo rinchiudersi nella miopia domestica di quattro mura abusate di pop e dialetto, anzi.
Sì, perchè se è vero che oramai – nell’era del trash istituzionalizzato e del neomelodico universale – il dialetto napoletano non sia più tabù impronunciabile alle orecchie di ascolta musica (e sopratutto, di chi la produce, con intelligenza fin troppo spesso sciacalla), non si può certo ridurre la portata delle sperimentazioni oriunde di Napoleone all’emulazione di trend esistenti: “Porta Pacienza” ha il piglio della hit radiofonica, con un testo ben scritto ed immagini poetiche azzeccate, arricchite in modo emotivo – e non folkloristico – da un ritornello fresco, potente e ad alto livello di mnemonicità , interamente cantato in napoletano; la produzione fa da trampolino, con il suo incedere ritmico incalzante e mai sopito, ad un melodicità che fa uso e consumo della scelta linguistica per dar ancora maggiore forza all’intensità del cantato.
Insomma, il napoletano diventa una cosciente scelta estetica, in Napoleone, e non la deriva del provincialismo o – peggio ancora – uno specchietto per allodole perverse, convinte di essere outsider solo perchè capaci di ripetere a memoria (con accento lombardo) qualche parolaccia in dialetto, o l’intera discografia di quel gran furbone di Liberato.
Napoli, per me, è qualcosa che va oltre le mode. Quando il tempo passa i sentimenti restano, perchè quelli no, “non invecchiano quasi mai con l’età “; ecco, allora mi auguro che quando i napoletani occasionali (sì, esistono!) saranno passati di moda ci si ricorderà ancora delle canzoni fatte per raccontare l’emozione, e non il trend; e spero, con tutto il cuore, che tra queste belle melodie sapremo ricordarci anche di quelle cantate da Napoleone.
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Come andrà? Che ne so io come andrà. Andrà come deve andare, stamm tutt quant sott o’ stess cielo. Ci stiamo divertendo, ci stiamo appassionando. Fare musica non è mai stato così bello e semplice perchè abbiamo una storia da raccontare, percheÌ a volte tutto quello che serve non è poi così lontano da quello che abbiamo. Porta Pacienza che vene dimaneâš“ï¸