Chi si sarebbe aspettato un album del genere dai Klaxons? Dico, chi si sarebbe anche solo aspettato una uscita anche solo un minimo decente dopo quasi tre anni in cui riguardo alla band inglese sono circolate le voci più disparate (inopinate svolte dubstep, innumerevoli cambi di produttore, fascinazioni canterburiane, versioni alternative cestinate dalla casa discografica perchè ritenute troppo sperimentali, esibizioni live semplicemente pietose, apparizioni tv come backing band di Rihanna et altre cose che non sto qui ad elencare proprio perchè sono sostanzialmente cazzate)? Nessuno. Ed invece i Klaxons ““ contro ogni aspettativa, contro ogni ragione logica, nel totale disinteresse di chi solo tre anni fa li osannava come ‘gli inventori del new rave'”“ hanno dato alle stampe un disco che definire un piccolo gioiello è poco.
“Surfing The Void” si discosta quasi del tutto dal suo predecessore (l’unico punto di incontro-scontro potrebbe essere la traccia d’apertura “Echoes”, quasi una nuova “Golden Skanks” sparata nello Spazio 1999, sparata per non tornare mai più) ed è l’esatta dimostrazione del fatto che con tre idee e mezza, un ottimo produttore e tanta sana incoscienza puoi fare un disco di grande qualità , che magari verrà snobbato dal grande pubblico che una volta ti adorava, però è un disco del quale la gente meno superficiale e meno attenta alle mode si ricorderà nel tempo. Io ho sempre pensato ai Klaxons come ad una band costruita a tavolino ad uso e consumo di un determinato segmento di pubblico (ossia gli adolescenti con pretese alternative) e dotata di ottimi brani capaci di accattivarsi le simpatie della critica musicale più superficiale e modaiola (fatte le debite proporzioni, praticamente una versione british dei dARI ““ ma almeno i dARI dal vivo spaccano, posso garantirlo io), eppure mi sbagliavo di grosso.
Un disco del genere fa venire in mente i Muse che suonano sotto l’effetto di quel MDMA che circolava ad Ibiza nel 1988 (“Surfing The Void”, “Valley Of The Calm Trees”), fa venire in mente ciò che avrebbero potuto essere i Cave In dopo “Jupiter” (“Twin Flames”, “Venusia”) se solo avessero voluto essere davvero stupire la gente ed esser abrasivamente pop (con brani di tale spessore i Cave In avrebbero sicuramente fatto il culo ai Muse quando giravano l’Europa come loro gruppo spalla), fa venire in mente i Voivod che suonano “Astronomy Domine” all’uscita da un rave illegale, fa venire in mente tutto e nulla. Il nulla rivestito di luci scintillanti, la gioventù che se ne frega di tutto e di tutti perchè vuole inseguire il proprio sogno, il vuoto siderale reso incredibilmente pieno dalla produzione stellare di Ross Robinson. Le chitarre a volte suonano e twittano davvero come quelle di Munky ed Head dei Korn degli esordi, ma con un senso di incertezza e di instabilità sembra quasi voler addolcire il tutto ““ o al limite colorarlo di malinconia.
“Surfing The Void” lo ascolti e non sai mai dove potrà andare a parare tanto è diverso dal suo predecessore. Entri e non sai se ne esci, e quando ne esci sei diverso, più consapevole. Non importa se un disco del genere non se lo filerà nessuno, l’importante è averci provato, è aver schifato la critica musicale sempre pronta a saltare sul carro del vincitore e aver portato la sfida ad un livello superiore. E ora vediamo come andrà a finire.