Devo essere sincero.
Alla vigilia di questa recensione sono stato assalito da un’ansia indomabile, indecifrabile, scura ed affamata di viscere.
I Crocodiles rimangono infatti uno dei miei gruppi preferiti dell’esplosione Shitgaze o Lo-Fi o come più vi piace, e l’idea di buttarmi in questo loro nuovo album a capofitto ha stirato i miei nervi e spremuto la mia attenzione già in allerta rossa.
Il loro debutto, “Summer Of Hate”, mi aveva onestamente colto impreparato alle bordate sporche di grasso, ai giubbotti di pelle in odore di “Psychocandy”, dandomi la percezione che molta fuffa se ne sarebbe andata trascinata nel cesso da una New Wave fresca e rassicurante.
E così è stato.
“Sleep Forever” sta a “Summer Of Hate” come la Laurea sta alla Maturità .
Pari pari.
Fin dal primo brano “Mirrors” si coglie in toto il tentativo del duo californiano, per l’occasione in versione allargata causa esigenze tecniche, di approfittare del lavoro in studio di James Ford, mente di Simian Mobile Disco e produttore super pettinato (Klaxons, Florence & The Machine e Arctic Monkeys giusto per il dovere di cronaca), in cerca di una direzione compositiva meno slabbrata, contaminata da dettami figli di Nuggets e Motorik tanto quanto dalle notti desertiche in cui si sono rifugiati per dar forma a questi 8 brillanti episodi.
C’è un’atmosfera che odora di pulito dopo i primi ascolti disorientati, affrancata dagli orpelli rumoristici dei primi singoli nonostante Phil Spector e i fratelli Reid sgomitino per non essere retrocessi, e le canzoni prendono forme e melodie usuali, come nelle ‘ballads’ alla “Hollow Hollow Eyes” e “Girl In Black” ad esempio.
Per quanto il termine Pop sia associabile ai Crocodiles, è palese il salto in avanti tentato e riuscito, la voglia di progredire dalla palude dell’autoreferenzialità indie ad una credibile carriera musicale seppur coi limiti del caso.
Ed ascoltando “Sleep Forever”, il pezzo che dà il titolo all’album, oppure la reminescenza Madchester con quel retrogusto da officina di Detroit di “Billy Speed”, o ancora “Hearts Of Love” inno da spiaggia metropolitana che i Beach Boys avrebbero composto dopo aver fatto a sberle con Palahniuk, risulta chiaro quanto questa seconda tappa diventi determinante nell’immaginario di Charles Rowland e Brandon Welchez.
Che dire allora?
Grazie Fat Possum per questa cremina inaspettata.
“Sleep Forever” è la botta agrodolce delle memorie che spingono per voltare pagina. Una camminata a metà strada tra la malinconia per ciò che è stato ed il futuro radioso, e forse inatteso, che fa la cavallina proprio dietro l’angolo.
Standing ovation al disco tutto allora e un 10 pieno per “All My Hate And My Hexes Are For You”, languida e psichedelica chiusa in odore di Suicide se solo Ian Brown si fosse ricordato di incatenare Alan Vega nel backstage.