Arriva sotto forma di un gargantuesco doppio album la seconda fatica discografica firmata Cut Worms. Non una vera e propria band, bensì una sorta di progetto solista dietro il quale si nasconde il cantautore e illustratore statunitense Max Clarke, nato in Ohio ma residente in quel paradiso hipster che risponde al nome di Brooklyn. I diciassette brani di “Nobody Lives Here Anymore” hanno preso vita l’anno scorso, nel corso di un lungo periodo di pausa dagli innumerevoli impegni di lavoro di questo instancabile stacanovista.
Con il tour di supporto al precedente “Hollow Ground” ormai concluso e l’ultimo disegno su commissione completato e consegnato, l’attivissimo Clarke si è concesso un po’ di tempo libero per raccogliere una quantità impressionante di idee fresche e riversarle in questi settantasette minuti di indie folk dalle innumerevoli sfaccettature.
Cercare di incasellare la musica dei Cut Worms in un genere specifico non ha molto senso. Qui – e la lunghezza dell’album dovrebbe valere più di un semplice indizio – troviamo tutto e di più. Atmosfere leggere, tendenzialmente serene ma talvolta agrodolci caratterizzano canzoni in cui sono facilmente rintracciabili influenze country, pop, doo-wop e rhythm and blues, con forti dosi di psichedelia a rendere il piatto più speziato. Il tutto rigorosamente in salsa vintage: “Nobody Lives Here Anymore” sarebbe potuto benissimo uscire nel 1969 e nessuno avrebbe strabuzzato gli occhi per il suo essere avanti con i tempi. L’elemento chiave dell’opera è la chitarra acustica, strumento che accompagna in maniera costante ed essenziale le prodigiose intuizioni melodiche del songwriter del Midwest.
Max Clarke, pur non essendo un cantante particolarmente dotato (ricorda vagamente la buonanima di George Harrison), ha un dono assai prezioso: sa scrivere brani dannatamente orecchiabili. Non c’è una singola traccia del disco che non sia in grado di catturare l’attenzione in un batter d’occhio. Bastano i primi secondi della swingante “The Heat Is On” per calarsi nella dimensione giusta: sarete subito pronti a immergervi in un viaggio nei meandri di un sound tanto elementare quanto vivace, non particolarmente raffinato ma arricchito da armonie vocali, arrangiamenti molto ben curati e inserti di armonica, slide guitar, organo e pianoforte honky-tonk.
Riprendendo il titolo del lavoro, l’originalità non vive qui; ma se siete appassionati di un certo tipo di folk americano, senza troppe pretese e dai toni caldi e delicati, in “Nobody Lives Here Anymore” troverete pane per i vostri denti. Il sottofondo ideale per una piacevole serata autunnale, trascorsa sorseggiando una bella tazza di tè bollente nel tepore casalingo.
Credit Foto: Caroline Gohlke