di Sebastian Lugli
Alla richiesta di una top ten dei My Bloody Valentine, ammetto che subito ho pensato di rispondere no. A parte che non mi piace ragionare di singole canzoni, poi i MBV sono una di quelle band che amo talmente tanto da dimenticare la logica aristotelica. Il mio pezzo preferito? Tutti.
Eppure, cito l’amico Dario Torre, sottrarsi sarebbe vile. Così più che una top ten vi propongo un piccolo viaggio nella discografia dei primi MBV, approfittandone dunque per fare propaganda al periodo ‘pre-Loveless‘, che purtroppo molti tendono a sottovalutare – frequentare per credere uno dei tanti gruppi fb dedicati allo shoegaze-. Se non ricordo male persino Mike McGonial nel noto “Loveless” (pubblicato per la bellissima collana 33â…“, di cui fa parte anche ‘Barbed Wire Kisses’ sui Jesus and Mary Chain, che quello sì lo consiglio di cuore a tutti), che immagino molti amici shoegazer abbiano divorato, sostiene che i MBV siano uno dei rari casi in cui una band ha sfornato un capolavoro epocale dopo diverse uscite mediocri o comunque non paragonabili a quel livello. Mi permetto di dissentire, e vorrei condividere con voi il mio amore incondizionato per la discografia pre-Loveless (spero un giorno si potrà fare lo stesso con la discografia post-Loveless, per ora ahinoi piuttosto scarna).
Già, perchè prima di arrivare al noto, colossale jihad produttivo, Kevin Shields e la sua truppa hanno creato una manciata di grandissimi EP e un ottimo album.
Pur restando gradevoli le sonorità à là Cramps dei primi lavori, mi riferisco soprattutto ai My Bloody Valentine nella loro configurazione definitiva, raggiunta dopo aver lasciato Dublino per i Paesi Bassi (più una breve parentesi berlinese), su consiglio di Gavin Friday dei Virgin Prunes, e dopo essersi infine trasferiti a Londra. (Gli anni dublinesi con David Conway alla voce, la sua fidanzata Christine “Tina” Durkin alla tastiera e qualche altro estemporaneo chitarrista e bassista, li vedo semplicemente come un passaggio, una fase di maturazione e di ricerca del proprio percorso che la maggior parte delle band affronta)
LOVELEE SWEET DARLENE
1986, da “The New Record By My Bloody Valentine”
Il nostro piccolo viaggio comincia dunque dal 1986 e da questa acidissima “‘Lovelee Sweet Darlene’, tratta da ‘The New Record By My Bloody Valentine’, prodotto dalla Kaleidoscope di Joe Foster, co-fondatore della Creation Records.
Shields in quel periodo era piuttosto scoraggiato e meditava di abbandonare i MBV e trasferirsi a New York da suoi famigliari, ma l’interessamento di Foster è la svolta che gli fa cambiare idea. La prima cosa che si pensa ascoltando questo pezzo è che a fine 1984 era uscito il singolo “Upside Down” dei JaMC, seguito a distanza di un anno da “Psychocandy”, insomma una coltre di feedback era scesa attraverso il continente e la buona novella non era certo sfuggita ai nostri. Qui il feedback, le melodie acide e le armonie jingle-jangle creano una combo notevole, per quanto ancora un po’ acerba.
SUNNY SUNDAE SMILE
1987, da “Sunny Sundae Smile”
Andiamo al 1987 e spunta questa “‘Sunny Sundae Smile’ (dall’eponimo EP), che ẻ il primo singolo dei MBV a raggiungere la top ten. Lo vedo come una sorta di ideale crossfade tra le code dell’indie-pop C86 che se ne vanno e i nuovi eroi del riverbero che arrivano”…E’ vero che Kevin non ha ancora trovato la sua dimensione ipersonica, ma il songwriting è quello. Provate a immaginarla con la glide guitar a cui ci ha abituato negli anni successivi: non è una meraviglia?
STRAWBERRY WINE
1987, da “Strawberry Wine”
Siamo all’omonimo singolo, pubblicato nell’autunno del 1987 su Lazy Records come anche il mini album “Ecstasy” (in seguito verrà ristampato il mini album sotto il titolo evocativo ‘Ecstasy and Wine’, includendo appunto anche “Strawberry Wine”).
Deliziose chitarre jingle ““ jangle che emergono da un sostrato goth-pop, melodie efficacissime, i Byrds che incontrano i Love con i JaMC di “Psychocandy” che fanno capolino: si poteva chiedere di più a questi ragazzi? Personalmente ascolto sempre con piacere queste canzoni, e lascio ad altri riempirsi la bocca con parole come “derivativi”.
CLAIR
1987, da “Ecstasy”
Siamo sull’EP “Ecstasy” ma questa traccia è piuttosto diversa dalle altre, qui il jangle-pop lascia spazio a esplosioni di rumore bianco che a tratti prendono il sopravvento in modo incontrollato, proiettando l’ombra dei capolavori che verranno. Molto interessanti anche le armonie vocali. Ho sempre pensato che questa traccia abbia avuto una certa influenza sui primissimi Ride, e se è così scusate se è poco.
YOU MADE ME REALISE
1988, da “Made Me Realise EP”
Passano pochi mesi e i nostri suggellano il fresco matrimonio con la Creation Records pubblicando, l’8-8-88, l’EP ‘Made Me Realise’. Stavolta non esito a usare la parola capolavoro. Ricordato da molti soprattutto per il modo in cui la title track veniva e viene tuttora proposta dal vivo, con la famosa holocaust section che diventa un vero e proprio esperimento sociale psicoacustico, in questo lavoro c’è molto altro che merita la nostra attenzione. Prima di tutto è la prima volta che Kevin propone diffusamente la sua innovativa tecnica chitarristica, fatta di uso totalizzante della leva del tremolo, accordature aperte e reverse gated reverb mixato al 100% – come ognun sa, in quello che sentiamo non c’è nulla del suono originale pulito, solo riverbero. Ma anche il basso è meravigliosamente sporco, squadrato da un fuzz che lo spalma sullo spettro acustico mandandoci a sbattere contro il proverbiale muro di suono. E Colm, batterista di indole punk, in brani energici come questa title track ci sguazza.
SLOW
1988, da “Made Me Realise EP”
Dallo stesso EP pesco anche questa “Slow”, una delle canzoni più sexy di sempre. Che si può dire di tale meraviglia? Le chitarre di Shields vengono direttamente dal paradiso e lì portano l’ascoltatore rapito dall’estasi (e senza bisogno di un anno di studio, o dei cavi d’oro e di cinquecento pedali che usa oggi). Il basso, splendidamente “marcio”. Basta, non c’è altro da dire, ascoltatela.
CIGARETTE IN YOUR BED
1988, da “Made Me Realise EP”
Ancora lo stesso EP, ancora un capolavoro onirico, anzi, ipnagogico. Perchè i MBV non danno voce all’esplosione dell’inconscio come fanno le band psichedeliche, ma piuttosto a quell’interregno sospeso tra la veglia e il sonno, dove la mente si spoglia della linearità e il riverbero sfoca tutto. Riverbero che qui è scuro, perfetto per le piccole dissonanze che disegnano il temperamento lunare di questa canzone. E la delicatezza della voce di Bilinda che emerge dal mare sonico di fuzz è forse tutto quello che possiamo desiderare dallo shoegaze.
(Sarei tentato di includere anche “Thorn” e “Drive It All Over Me”, che mostrano una vena 60s non ancora estinta ma portata a un altro (riverberatissimo) livello di coscienza, ma passo oltre).
FEED ME WITH YOUR KISS
1988, da “Isn’t Anything”
Viene l’autunno dell’88 e finalmente esce il primo LP, ‘Isn’t Anything’, preceduto di poco dall’EP che prende il nome di questa canzone; questa traccia è stato uno dei miei primi amori shoegaze, probabilmente perchè con la sua pesantezza fuzzosa si fa apprezzare anche da chi ancora non è iniziato alle delicatezze del riverbero inverso. E’ garage rock esplosivo, da orecchie che sanguinano, con Colm che martella e Debbie e Kevin che rifilano manrovesci di fuzz. Ma non manca una vena eterea nelle voci, quasi in bilico tra il passato gotico e un futuro sepolto nel riverbero.
YOU NEVER SHOULD
1988, da “Isn’t Anything”
Pronti-via e Kevin ci lancia in un bungee jumping sui bending di chitarra, ci accartoccia la mente in un crepitio di fuzz. Rimbalziamo su una melodia incantevole, fresca come un mattino autunnale di fine anni ottanta a Londra. Il beautiful noise ci solleva da terra e ci fa sognare, cullati dalle risacche della glide guitar.
1988, da “Isn’t Anything”
NOTHING MUCH TO LOSE
1988, da “Isn’t Anything”
Altro selvaggio languore, armonie vocali fantastiche e un bellissimo arrangiamento di batteria che danno forma a un noise-pop semplicemente perfetto.
I BELIEVE
1988, da “Feed Me With Your Kiss EP”
Una piccola ruffianeria melodica la potremo ben concedere, a gente che il pop-rock l’ha rivoltato come un calzino riverberato inversamente. E vi dirò la verità, che se in passato amavo di più gli aspetti più sperimentali ed “estremistici”, oggi vado nei matti anche quando sento del noise-pop così semplice ed efficace. Se non vi sembra niente di speciale, scrivetelo voi un pezzo come questo, e poi mandatemi il link che ascolto volentieri.
GLIDER
1990, da “Glider EP”
Dall’eponimo EP uscito nel 1990, nell’attesa di “Loveless” ci mostra i nostri già sintonizzati sul loro sforzo definitivo. Il nome dell’EP è già un manifesto programmatico: un’abbuffata della specialità della casa glide guitar. Inoltre, siamo al picco della cultura acid-house e si sente: Kevin non ha mai fatto mistero che la loro musica si accompagnasse perfettamente all’E (per la gioia di Alan McGee), e non è certo un caso che di questa “Glider” sia uscito anche un remix di nientemeno che Andy Weatherall, il Prometeo della scena Madchester. Di “Glider” esiste anche una versione estesa molto lunga, che personalmente adoro.
Direte: ma ci hai ingannato, sono 12, che top ten è mai questa? Solo che stiamo parlando di MBV, poteva non esserci una robusta coda di riverbero?
Photo: mararie, CC BY-SA 2.0, via Wikimedia Commons